/

L’analista: «L’unica via maestra è la pace tra sauditi e israeliani»

3 minuti di lettura
Israele

Sono i giorni successivi all’11 settembre israeliano. Infuria la guerra e mentre a Tel Aviv si conta un numero mai così altro di vittime per mano dei terroristi, la striscia di Gaza sta per essere rasa al suolo. La madre di tutte le domande ora è: Israele contro chi e fino a dove? L’effetto domino è dietro l’angolo. Nell’impotenza dell’Occidente. Lospecialegiornale.it ha interpellato l’analista geopolitico e giornalista Nello Del Gatto, esperto di questioni mediorientali. Vive a Gerusalemme.

L’attacco senza precedenti verso Israele ha fatto riscoprire al mondo, ormai concentrato sull’Ucraina, la questione palestinese. C’è solo la volontà degli ayatollah di boicottare il matrimonio diplomatico tra Riyad e Tel Aviv o la partita che si sta giocando è più grande?

«La questione di Gaza è una questione all’interno di quella palestinese. Certo, gli Accordi di Abramo sono stati vissuti dai palestinesi, in particolare dall’Autorità Nazionale Palestinese, l’organismo che amministra i Territori, come una pugnalata nella schiena, come lo stesso presidente Abu Mazen ha detto. Ma non credo c’entrino con quanto accaduto. La pace con i sauditi in questo mondo è inevitabile, dopotutto i due governi già cooperano, sottobanco e sopra, in molti campi. Piuttosto dimostra da un lato che la radicalizzazione di Hamas si diffonde sempre più anche in contesti più laici, intercettando le disillusioni e le frustrazioni soprattutto dei giovani palestinesi; dall’altro che l’Anp è sempre più slegata dal territorio e che l’Iran ha un piede ben piantato nella Striscia».

Il più devastante e sanguinoso attacco subito da Israele da cinquant’anni a questa parte ha colto di sorpresa Mossad e Shin Bet, i leggendari servizi segreti di Tel Aviv. Oggi sono sotto accusa da parte del governo. Dov’è si è creata la falla nel flusso di informazioni, considerando la portata dell’attacco terroristico?

«E’ presto e difficile da dire. Si sente e si ascolta di tutto, anche teorie pseudo complottistiche. Io non riesco ad avere una risposta. Di certo, Hamas ha segnato una grande vittoria, perché al di là dei numeri delle vittime, impressionante, ha dimostrato una grande capacità organizzativa, di pianificazione, vincendo perché ha fatto piombare Israele nella paura. Negli ultimi mesi e anni, Hamas ha tenuto sempre un profilo basso, e questo, temo, sia uno dei motivi che abbia spinto i servizi israeliani ad abbassare la guardia. Non partecipava neanche quando c’erano i lanci di razzi, “lasciati” alla Jihad islamica palestinese. Complici poi le festività tra le più importanti per gli ebrei, la frittata è stata fatta. Non dimentichiamoci che è semplice controllare e notare gli spostamenti di truppe, ma difficile quelli dei singoli, come avviene in operazioni di guerriglia o terrorismo come questa».

Oltre all’Iran c’è qualcun altro che sta soffiando sul fuoco della crisi?

«L’Iran è l’attore principale, attraverso i suoi sodali come Hamas ed Hezbollah ha tutto l’interesse a soffiare sul fuoco. Come la Siria. Anche Abu Mazen potrebbe giovarsene, perché da un lato si potrebbe proporre come mediatore e salvatore della patria, dall’altro emergere come unico leader arabo credibile per Israele e gli altri. Un all-in che, se sfruttato bene dall’ottuagenario presidente, gli tornerebbe sicuramente utile».

Quanto hanno contribuito la crisi politica interna e i pessimi rapporti di Netanyahu con l’esercito ad allentare la tensione nei servizi di informazione?

«Non credo che la riforma della giustizia, alla base del malcontento di parte della popolazione tra i quali i riservisti, abbia aiutato. Certo, nella mente dei nemici di Israele questo momento storico-politico in Israele rappresenterebbe un paese diviso, debole. Ma non è così. E’ il naturale e democratico processo di discussione sulle riforme di un paese che, tra l’altro, non ha una costituzione, è monocamerale e si deve dotare di regole precise nel rispetto dei ruoli».

Quale sarà e quanto durerà la risposta militare di Israele e come si muoverà nel frattempo la diplomazia internazionale per cercare di spegnere la nuova polveriera mediorientale, che rischia di mettere in serio pericolo lo scacchiere geopolitico mondiale?

«L’opzione più ovvia è certamente quella di una guerra via terra. Sostenuta da combattimenti anche al nord. Questo perché, non dimentichiamolo, Israele è circondato da quelli che ritiene nemici. A sud Gaza, a nord il Libano (con il quale non è mai stata firmata la pace), a nord est la Siria e l’Iran più in là. Temo la scelta di una guerra globale. Anche se i leader occidentali non sono per questa ipotesi, soprattutto perché si rischierebbe di risvegliare nei paesi che appoggiano Israele, quelle cellule terroristiche che colpiscono dall’interno. in tempo di elezioni americane, sicuramente Washington vorrebbe evitare. Certo è che Netanyahu deve rispondere, il numero delle vittime è troppo grande, così come l’onta subita. ma deve essere razionale, perché per farsi prendere dal sentimento, nel più grande massacro dall’Olocausto, rischia di perdere gli ostaggi e scatenare qualcosa di irrisolvibile».

Che ne sarà degli Accordi di Abramo?

«Andranno avanti. Anche i paesi arabi che li hanno sottoscritti hanno condannato il massacro perpetrato da Hamas. Non credo ci saranno grossi contraccolpi, Israele però deve evitare le vittime civili a Gaza per non mettersi sullo stesso piano di Hamas».

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Articolo precedente

Auto elettrica? Cosa non va e cosa sta prendendo piede

Articolo successivo

Medio Oriente, Tajani “Forte preoccupazione per il ruolo dell’Iran”

0  0,00