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Di Liddo, Cesi: «Il terrorismo? Ora i lupi solitari, poi…»

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Israele

Un attentatore invasato ammazza due tifosi della Svezia a Bruxelles, un allarme bomba paralizza gli aeroporti di mezza Francia, nove paesi europei sospendono il trattato Schengen per paura di pericolose infiltrazioni, mentre il Medioriente brucia. Lospecialegiornale ha chiesto a Marco Di Liddo, direttore del Centro Studi internazionali e analista responsabile del Desk Africa e Russia e Caucaso, una disamina della questione israelo-palestinese che sta riverberando i suoi effetti sull’Europa, partendo dai fatti di Bruxelles.

Di Liddo, l’attentatore che ha ucciso di due tifosi svedesi a Bruxelles può essere considerato una scheggia impazzita o dietro c’è una regia internazionale?

«Dal quadro delle informazioni in nostro possesso dovrebbe trattarsi di un lupo solitario, poi va compreso se si sia radicalizzato in completa autonomia o se sia entrato in contatto con alcuni gruppi terroristici. Dalle modalità dell’attacco tutto lascia pensare che sia stata un’iniziativa personale e che non abbia ricevuto ordini dall’alto o sia stato indotto ad agire. E non risulta che fosse addestrato poiché in concomitanza di un evento sportivo avrebbe davvero potuto compiere una strage. Poi c’è altro elemento sul quale riflettere: l’arma da fuoco se l’è procurata attraverso un normale canale clandestino oppure l’ha ricevuta da soggetti presenti in Belgio? Se così fosse saremmo in presenza di cellule dormienti più somiglianti però agli anarco-insurrezionalisti, che conosciamo bene».

Stiamo ripiombando nell’incubo del post Bataclan?

«No. Dalla strage del Bataclan sono passati otto anni e guardare indietro non è mai utile. Il terrorismo si è evoluto, la propaganda si è evoluta, viviamo la stagione del lupo solitario. Il fenomeno si è parcellizzato ed è difficile ipotizzare ancora la presenza di grosse cellule strutturate dopo anni di indagini e retate da parte delle forze dell’ordine. Pianificare un attacco come quello al Bataclan richiede tempo, risorse e organizzazione militare».

Esiste una stima sul numero delle possibili cellule dormienti in Europa e sul loro grado di pericolosità?

«Impossibile. Possedere una stima del genere significherebbe essere di fronte a una clamorosa fuga di notizie da parte dei servizi di informazione di mezza Europa oppure che il fenomeno sarebbe ormai emerso in superficie. Tuttavia, resta il dato sociale. Non va sottovalutata come concausa l’emarginazione delle periferie delle grandi città, non solo le banlieue in Francia, ma pure quelle in Belgio, Germania e Scandinavia dove è numerosa la presenza di immigrati islamici. Il malcontento in certi contesti sociali può dar vita a manifestazioni violente come di Bruxelles anche solo per spirito di emulazione».

Il Medioriente è in fiamme. Dopo l’attacco di Hamas, Israele ha rivendicato il diritto di reagire anche duramente. Nei vari dibattiti l’argomento è diventato quasi di natura filosofica: Tel Aviv sta reagendo congruamente all’aggressione subita?

«Vede, il concetto è molto soggettivo. Israele deve legittimante difendersi dagli attacchi di Hamas e da tutti quelli che possono provenire da Siria, Iran o Libano, ma la sua reazione spropositata comprometterebbe l’azione diplomatica minando per sempre gli Accordi di Abramo. Nel merito, il concetto di congruità per Israele è fondamentalmente quello della deterrenza, quindi una reazione durissima per riaffermare il diritto della nazione ebraica a esistere e a difendersi. Ma il confine tra congruità e abuso è labile, il rischio che si oltrepassi il limite è altissimo nonostante cresce la possibilità che il governo Netanyahu possa soprassedere sull’invasione della Striscia di Gaza».

La strage all’ospedale di Gaza è l’ennesimo avvenimento sconvolgente. Si contano morti e feriti a centinaia, anche in questo caso Israele e Hamas si rimbalzano la responsabilità. Qual è la vostra valutazione?

«Impossibile dirlo al momento. Le notizie che arrivano sono ancora troppo confuse e frammentarie».

Biden si è precipitato a Tel Aviv: c’è il rischio che i rapporti con Israele possano incrinarsi di fronte alla strategia da adottare? 

«E’ difficile che i rapporti tra alleati storici come Stati Uniti e Israele possano incrinarsi proprio in un momento delicato come questo. Biden si è precipitato a Tel Aviv sostanzialmente per tre motivi: far pesare tutta la propria influenza sugli israeliani affinché il conflitto non dilaghi; tenere in vita gli Accordi di Abramo; evitare che altri attori palesemente interessati come Russia e Cina possano subentrare nello scacchiere mediorientale agli Stati Uniti e alla stessa Unione Europea che sta lavorando più sottotraccia».

Nulla sarà come prima del 7 ottobre 2023. Dovremo riconsiderare un’altra cartina geografica con o senza lo stato palestinese?

«Questo dipende dell’evoluzione del conflitto e soprattutto dalla portata della reazione di Israele. In prospettiva, come più volte sottolineato dalla comunità internazionale, lo stato palestinese ha diritto di esistere e su questo non si transige. Le organizzazioni terroristiche vanno sradicate ed eliminate, mentre Tel Aviv deve impegnarsi a non attuare più politiche discriminatorie e di espansione sui territori. Deve quindi esserci un riconoscimento reciproco con garanzie di sicurezza per entrambe le parti con la presenza politica, diplomatica e militare dell’Onu. Se non si parte dall’accettazione di questi presupposti, che poi sono quelli di sempre, due popoli per due stati, non si uscirà dal tunnel».

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