Delitto Mollicone e strage di Erba, Bruzzone: “Perché i due casi vanno riaperti”

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La corte d’assise di appello di Roma ha deciso di riaprire il processo per l’omicidio di Serena Mollicone, la 18enne di Arce uccisa nel giugno del 2001. E’ stata accolta la richiesta della procura generale che aveva anche sollecitato l’audizione di 44 persone, tra testimoni e consulenti, ritenute “indispensabili” per l’accertamento della verità. Per la corte è importante procedere all’ascolto in udienza di tutti i consulenti di cui hanno parlato il sostituto procuratore generale Andrea Piantoni e la pm applicata Maria Beatrice Siravo, il magistrato, che a conclusione delle oltre 200 udienze del processo celebrato a Cassino, aveva chiesto la condanna dei 5 imputati e che ha fatto ricorso contro la loro assoluzione emessa il 15 luglio 2022 per insufficienza di prove.

Sempre in questi giorni inoltre, i legali di Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati in via definitiva per la strage di Erba (Como) dell’11 dicembre 2006 (quattro morti e un ferito grave), hanno depositato alla Corte d’assise di Brescia l’istanza di revisione di condanna per i coniugi. Con l’istanza depositata dagli avvocati Fabio Schembri, Luisa Bordeaux, Nico D’Ascola e Patrizia Morelli, si chiede un nuovo processo per Olindo Romano e Rosa Bazzi sulla scorta di alcune consulenze (sette elaborati) il cui contenuto sarebbe incompatibile con la ricostuzione fatta dai coniugi e poi ritrattata della strage, oltre che con quella emersa dalle indagini. In una si insiste sulla testimonianza di Mario Frigerio, unico sopravvissuto alla strage, morto negli anni successivi, e diventato principale testimone dell’accusa che riconobbe Olindo in aula. Su entrambi i casi abbiamo sentito il parere della criminologa Roberta Bruzzone che li ha seguiti molto da vicino in veste di consulente, maturando in entrambi i casi la convinzione che le verità siano ben diverse da quelle finora uscite dalle aule di Giustizia.

Partiamo dall’omicidio Mollicone. Perché è importante la riapertura del processo?

“La Corte d’Assise d’Appello di Roma non è affatto convinta della sentenza di primo grado e chiede una valutazione più approfondita degli elementi probatori, evidentemente certa che molte cose non tornino nella sentenza di assoluzione degli imputati”.

Elementi che naturalmente non convincono neanche lei?

“Assolutamente no”.

Quali sono gli aspetti che hanno portato all’assoluzione degli imputati e che di fatto secondo il vostro giudizio non tornerebbero?

“Fondamentalmente tutto l’impianto accusatorio va nella direzione di una colpevolezza degli imputati. Il processo di primo grado del resto aveva già confermato a mio giudizio i gravi indizi nei loro confronti in termini probatori. Al punto che il giorno della sentenza, quando abbiamo udito che tutti i cinque imputati erano stati assolti, siamo rimasti senza parole, proprio perché ci siamo trovati di fronte un epilogo assolutamente imprevedibile sulla scorta degli esiti dibattimentali. Riteniamo inoltre che la sentenza di primo grado sia carente sotto diversi profili, manchi di una visione globale rispetto a tutti gli elementi raccolti, sia quelli dichiarativi che scientifici e medico-legali. Sono tanti gli aspetti che non tornano, la lista è davvero lunga, e bene ha fatto la Corte d’Appello a chiedere di riaprire l’istruttoria in maniera così ampia”.

Quale è stato a suo giudizio l’errore più grave dei giudici di primo grado?

“L’errore principale è appunto l’assenza di una lettura globale rispetto a tutti gli elementi raccolti. C’è stata, ritengo inoltre, un’interpretazione assolutamente discutibile di tutta una serie di elementi indiziari, soprattutto in merito alle dichiarazioni di Santino Tuzi, il brigadiere della stazione di Arce morto suicida”.

Il luogo dell’omicidio quindi secondo lei resta la caserma dei Carabinieri di Arce?

“Non si tratta di una mia opinione personale. La mia convinzione si basa sul fatto che fra i capelli della vittima e sul nastro usato come bavaglio soffocante per uccidere Serena, ci sono molteplici tracce perfettamente compatibili con tutti gli strati della porta sequestrata in caserma e che è stata danneggiata. Mi pare molto improbabile che possa esistere un oggetto in grado di produrre lo stesso tipo di tracce e contro cui la vittima possa aver sbattuto nella prima parte dell’omicidio. Quelle tracce a mio giudizio collocano Serena davanti a quella sola ed unica porta, e quindi all’interno della stazione di Arce”.

Quindi resta convinta della messa in atto di un’azione di depistaggio?

“L’ipotesi accusatoria attuale, che sarà poi sostenuta anche in appello, vede coinvolto il maresciallo della stazione. E’ chiaro che se abbiamo ragione noi in ordine a tutta una serie di stranezze, dimenticanze, circostanze misteriose che si sono verificate, possiamo chiaramente ammettere che si è andati in quella direzione. Se abbiamo ragione noi è evidente che la prima parte dell’inchiesta è stata manipolata”.

Il suicidio del brigadiere Tuzi come va interpretato invece?

“Penso che il suicidio non sia collegabile all’omicidio nel modo descritto dai media. Ritengo invece che possa essersi suicidato per il timore di essere arrestato, dopo che a distanza di quasi otto anni si è deciso a raccontare quello che aveva visto quella mattina. Penso che abbia temuto di fare la stessa fine di Carmine Belli, prima indagato, poi processato, ed infine fortunatamente assolto, soltanto per essere risultato l’ultimo ad aver visto Serena Mollicone la mattina del primo giugno. L’ultimo ad averla vista viva a quel punto restava Tuzi, le cui dichiarazioni non furono però confermate dai colleghi che lavoravano con lui in caserma quel giorno. Il brigadiere ha probabilmente temuto di essere accusato lui stesso dell’omicidio”.

E’ quindi fiduciosa sul fatto che si possa arrivare alla verità?

“Credo che il segnale sia già molto importante. La Corte d’Appello vuole vederci chiaro ed in maniera molto ampia e dettagliata. Il 20 novembre inizierà il confronto fra i vari consulenti tecnici, e questa partita si giocherà essenzialmente su aspetti tecnici e su alcune testimonianze chiave. Ora vedremo come sarà impostato il confronto fra consulenti, ma per noi si tratta di un’ottima notizia. La Corte avrebbe potuto anche ritenere sufficiente l’impianto accusatorio sviluppato in primo grado e andare a sentenza senza riaprire l’istruttoria. Se hanno invece deciso di riaprirla vuol dire che nutrono seri dubbi e vogliono andare fino in fondo”.

Un altro caso che sta facendo molto discutere riguarda la strage di Erba. I legali dei coniugi Romano hanno chiesto la revisione del processo e della sentenza definitiva di condanna. Lei è d’accordo?

“Si, stiamo aspettando che la Corte si pronunci sull’ammissibilità o meno della richiesta di revisione. Tenga conto che anche qui ci sono 57 consulenze depositate nella richiesta di revisione che polverizzano l’impianto accusatorio, che a mio giudizio è assolutamente illogico in tutta una serie di passaggi”.

I due casi, sia quello di Arce che di Erba, sono in qualche modo assimilabili nel delineare superficialità nelle indagini e tentativi di depistaggio?

“Sono due scenari completamente diversi sia sul piano delle circostanze che dei protagonisti. Sul caso di Erba certamente si può discutere su tutta una serie di aspetti tecnici che non sono stati sviluppati in maniera corretta. Nel delitto Mollicone invece, oggi l’ipotesi accusatoria è proprio puntata contro chi all’epoca svolse le indagini. Un conto è sbagliare per superficialità, scarsa competenza o perché ci si convince che una tesi vada sostenuta ad ogni costo senza guardare oltre, un altro conto è affidare un’indagine a chi oggi risulta il principale indagato”.

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