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Arrival – La recensione

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Sinossi

12 misteriosi oggetti volanti non identificati raggiungono la Terra, dislocandosi in altrettanti luoghi. Nel Montana, l’esercito degli Stati Uniti stabilisce un campo base per analizzare l’astronave aliena stanziatasi sul territorio americano. Per capire la natura dell’arrivo, i militari coinvolgono la linguista Louise Banks (Amy Adams) e lo scienziato Ian Donnelly (Jeremy Renner), allo scopo di decifrare le intenzioni dei visitatori.   Arrival, si basa su Storia della tua vita, racconto inserito nella raccolta omonima di Ted Chiang, sceneggiato per il grande schermo da Eric Heisserer.

Recensione

Denis Villeneuve,  talentoso regista canadese, dopo i convincenti thriller  Prisoners (2013) e Sicario (2015) ha con Arrival il suo primo approccio con la fantascienza, che sviluppa in tre punti cardine: linguaggio, tempo e memoria.
Partendo dall’assunto che il linguaggio sia alla base della civiltà e quindi il più consono a stabilire un contatto comunicativo, Villeneuve pone al centro dell’azione la linguista Louise Banks (Amy Adams) e gli eptopodi alieni, alla ricerca di un punto d’incontro conoscitivo, che vedremo si stabilirà principalmente con la grafia.
In Arrival il tempo rappresentato  non è lineare, bensì circolare, come anche la scrittura degli alieni,  per questo la narrazione inizia dalla fine e viene citata la tesi dell’Ipotesi di Sapir-Whorf secondo la quale la lingua che si parla influenza direttamente il modo di pensare.
Gli scarti e gli slittamenti di memoria che scandiscono il film vengono visualizzati tramite flashback e flashforward e appaiono tasselli di un mosaico che capiremo solo alla fine.
Queste intuizioni sono perfettamente incastonate in una ottima sceneggiatura che solo nel finale rivela qualche esitazione o compiacimento di troppo.
Lo sguardo di Villeneuve risulta invece essere sempre più “puro” e aperto all’infinito, come dimostra la sequenza del primo incontro di Louise e Ian con gli alieni, dove in una fotografia glaciale,  la spessa nebbia che si dirada per mostrarci per la prima volta la manifestazione aliena ha qualcosa di archetipo e raffinato, che rende il tutto “sospeso”.
A conferire questa rarefazione di sguardo e di sensi è anche la colonna sonora  composta dal musicista islandese Jóhann Jóhannsson  che già aveva lavorato in Sicario (curiosità: al minuto “23 di Sicario si sente un suono del tutto simile al linguaggio degli eptopodi alieni, e Jóhannsson ha dichiarato di averlo realizzato pensando “al battito cardiaco di una bestia selvaggia pronta a sferrare un attacco dalle viscere della terra”).
Villeneuve usa gli alieni come metafora dei tanti “altri” delle nostre esistenze, e ci mostra come la cooperazione e il dialogo fra gli esseri umani di diverse etnie e religioni, possa fare la differenza per un’esistenza pacifica.
In sala da domani giovedì 12 gennaio.

 

 

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