In Italia i dipendenti a termine raggiungono un nuovo record storico: gli occupati a tempo determinato nel terzo trimestre del 2017 sono 2 milioni 784 mila. Lo rileva l’Istat e si tratta del livello più alto dall’inizio della serie, avviata nel quarto trimestre del 1992: è il valore massimo da almeno 24 anni.
Nell’ultimo trimestre crescono del 3,9% su base congiunturale e del 13,4% su base annua. I dipendenti a termine salgono infatti di 342 mila unità. Più contenuto risulta invece l’aumento tra i tempi indeterminati ( con un più 60 mila). Il lavoro dipendente mette così a segno un rialzo di 402 mila unità.
Stabili invece i contratti a tempo indeterminato. Secondo l’Istat la crescita congiunturale dell’occupazione è dovuta quindi all’ulteriore aumento dei lavoratori dipendenti (+101 mila, +0,6%), soltanto nella componente a tempo determinato a fronte della stabilità del tempo indeterminato.
Questo significa che i posti di lavoro disponibili crescono, ma con condizioni contrattuali a termine, ben diverse dal passato. Nel giro degli ultimi due decenni, il rapporto tra assunzioni e rapporti di lavoro con contratti a tempo indeterminato (il cosiddetto posto fisso) in netta prevalenza e una minoranza a tempo determinato (in genere solo gli stagionali) è stato ribaltato dall’avvento di nuove tipologie di contratto di lavoro introdotte da apposite leggi – più precarie e, comunque, valide per un periodo temporale determinato, eventualmente rinnovabile – e dalla fine degli sgravi fiscali e contributivi previsti dal Jobs Act che, però, dovrebbero ritornare in vigore prossimamente con la legge finanziaria appena approvata dal Parlamento.
Un elemento positivo è certamente la crescita ininterrotta da dieci trimestri dei “neet”. Prosegue «a ritmi sempre più intensi» la riduzione del numero di scoraggiati, in calo di 101 mila in un anno (-5,7%). L’Istat precisa poi che oltre 1 milione e 600mila persone ritengono di non riuscire a trovare un lavoro e quindi hanno smesso di cercarlo.