Neanche le forze dell’ordine sembrano spaventare i componenti delle baby gang decisi a portare a termine, sempre e comunque, i loro “regolamenti di conti” e i loro propositi di violenza.
E’ avvenuto sul lungomare di Napoli, dove tre giovani, accusati da una baby gang di aver rivolto sguardi ad una ragazzina del gruppo, hanno tentato di sfuggire alla furia del branco riparandosi intorno ad una camionetta dell’Esercito, sperando che la presenza di due soldati li scoraggiasse dal compiere le loro violenze. Pia illusione invece perché il branco, composto pare da una quindicina di ragazzini ha tentato di confondere i due soldati mentre altri picchiavano i tre.
I soldati hanno tentato nel migliore dei modi di fermarli ma se non fossero intervenuti i Carabinieri, allertati dagli stessi militari in difficoltà, probabilmente non ce l’avrebbero fatta. A dimostrazione di come le baby gang non temano nulla, nemmeno le divise dei militari e siano pronte a tutto pur di portare a termine la loro “vendetta”. Perché alla fine proprio di questo si è trattato.
La ragazzina oggetto delle attenzioni dei tre infatti avrebbe aizzato il gruppo ingigantendo oltre misura la questione: un semplice sguardo è finito con il diventare un’offesa da punire con le botte. E come detto nemmeno la presenza dell’esercito è servito a farli desistere dal proposito di “punire” il presunto sgarbo arrecato ad un componente della baby gang legato alla giovane.
Il ministro dell’Interno Marco Minniti non è affatto convinto che la violenza che si è scatenata a Napoli ad opera di baby gang sia però soltanto un fatto di carattere penale risolvibile con misure straordinarie di ordine pubblico o con l’intervento della magistratura. Minniti che oggi sarà a Napoli a presiedere il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, ritiene infatti che il problema sia principalmente di carattere sociale e trovi spiegazione nel contesto da cui provengono i giovani violenti. Anche perché la stragrande maggioranza di loro non ha nemmeno compiuto 14 anni e quindi per la legge non sono neanche punibili.
La risposta, a detta del ministro, andrebbe cercata nel percorso familiare, sociale, scolastico. In pratica secondo il Viminale è necessario partire dal contesto urbano, sociale, familiare, educativo che sta dietro questi ragazzi per contrastare efficacemente il fenomeno. Nella consapevolezza che in certi casi la repressione da sola può servire a poco.
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