Recensione di Downsizing- Vivere alla grande, diretto dal premio Oscar Alexander Payn con Matt Damon, Christoph Waltz e Neil Patrick Harris. In arrivo nei cinema italiani da giovedì 25 gennaio 2018 distribuito da 20th Century Fox.
In un futuro distopico, il problema della sovrappopolazione mondiale può essere facilmente risolto grazie ad un processo di miniaturizzazione, in grado di ridurre ogni essere umano alla dimensione di circa 12 centimetri.
E se dalla Norvegia la scienza urla con cieca fede la soluzione, l’America risponde con entusiastico sospetto attraverso il proprio ordinario antieroe Paul Safranek, che compie la consapevole scelta di “ridimensionarsi” e di trasferirsi insieme alla moglie Audry nella lillipuziana comunità di LeisureLand, un po’ per sfuggire alle difficoltà economiche, un po’ per salvare il pianeta.
La premessa del film Downsizing – Vivere alla grande trascina con sé imponenti tematiche, che il premio Oscar Alexander Payne è pronto ad affrontare sfoggiando una pellicola dalle venature della satira, della fantapolitica e del film sentimentale.
Perché l’eco sostenibilità e l’evidente critica nei confronti dell’assenza di lungimiranza per le politiche ambientali, sono soprattutto l’appiglio per una riflessione sulla natura dell’essere umano.
Essere umano rappresentato da Paul, uomo comune dal destino segnato, che prende le redini del proprio fato, declinandosi nell’umana incoerenza della caratterizzazione evolutiva.
Interpretato da un convincente Matt Damon, il signor Safranek si svela a ogni bivio, manifestandosi allo spettatore nel proprio policromo mosaico identitario.
Payne si serve di un cast d’eccezione i cui nomi di Christoph Waltz e Neil Patrick Harris sfilano accanto alla rivelazione del film Hong Chau, che veste i panni di una dissidente vietnamita dall’altruismo pragmatico, con la passione per le farfalle.
Commedia dal sapore agrodolce e dall’ingenuità discontinua, Downsizing è un film dall’umorismo sottile, velato dalla malinconica patina apocalittica della satira più discreta.
Il regista di Paradiso Amaro utilizza per la prima volta un pretesto fantascientifico per fare ciò che meglio gli riesce: un’analisi lucida, lungi dall’esser cinica, della società americana.E riconferma la sensibilità di uno sguardo empaticamente oggettivo sull’essere umano, che è si catastrofico, ma non ancora estinto.