Se la politica italiana rende urgente un “fronte repubblicano”, come suggerisce l’ex ministro Calenda, vuol dire che c’è un “fronte monarchico” vincente, guidato si fa per dire da Emanuele Filiberto di Savoia o da Aimone d’Aosta.
Ma c’è un fronte “monarchico” in Italia? Per ora c’è soltanto un “fronte populista, identitario, sovranista”, che sta cominciando a riposizionare l’Italia nel contesto Ue, nel nome e nel segno di un’altra concezione della nazione, dell’economia, della sicurezza, dell’Europa e dell’immigrazione. E se sono rose fioriranno.
Governo a cui si oppone, questa è la verità , un fronte sgarrupato, bilioso e inconcludente, formato da una Forza Italia in forte crisi, divisa tra politici e dirigenti tentati dal Carroccio, in avanzata debordante e una rifondazione azzurra (nonostante Berlusconi) e da un Pd ridotto al lumicino.
Partito post-renziano che sta sbagliando tutto: linea politica, comunicazione e strategia.
Sulla linea politica, si sta ostinando a fotografare, eternare un Paese che non esiste (e non è mai esistito), sulla scorta degli slogan di Renzi. Ma le bugie hanno le gambe corte: specialmente quando si scopre che ci sono 5 milioni di poveri, che la disoccupazione cresce, alla faccia del jobs act, e le richieste di “più Europa”, “più liberismo” e “più garantismo”, oltre a non essere in linea col dna della sinistra, cozzano con l’opinione prevalente degli italiani, che il 4 marzo, hanno dimostrato di stare dall’altra parte.
E poi, il Pd cos’è? Un partito social-democratico, laburista, democratico all’americana, liberal-progressista, liberal, radical? Non lo sanno nemmeno i suoi dirigenti.
Sul piano della comunicazione poi, continuano a sbagliare dividendo il mondo in buoni e cattivi, in perfetti e sbagliati, in bene e male. Quella superiorità morale che impedisce l’obiettività sui numeri e sulle strategie. Finché non si fa un’autentica autocritica non se ne esce. Ma ciò presuppone una buona dose di umiltà che i dem non hanno per patrimonio genetico e storico.
Calenda da neofita del Pd, al contrario, ci sta provando. Un manifesto non anti-renziano, ma sui valori da recuperare e attualizzare. Un documento che ha incassato il consenso di Pinotti, Padoan, Gori e Bettini, ma la freddezza dei vertici dem, a cominciare da Orfini. “Un bel manifesto”. Come dire, parole astratte, da intellettuale, mentre i fatti li facciamo noi.
Il “Fronte repubblicano” di Calenda, entrando nel merito, dovrebbe partire dall’esperienza positiva dei laboratori civici, tipo Pizzarotti e Pisapia”. Tradotto dal meta-politichese, significa unire il popolo grillino di sinistra, che magari in questo momento è disorientato dalle scelte del governo giallo-verde, e la sinistra salottiera e imprenditoriale già movimentista, ma da un po’, radical-chic della Milano da bere “arancione”.
Insomma, una nuova geografia per andare “oltre il Pd” ed intercettare i civici e i delusi del Pd, per non smentire il “piano Minniti”, concepito per fermare gli sbarchi dei migranti e, nel contempo, ribadire l’appartenenza alla Ue.
Come volevasi dimostrare: una strategia che non mira a rioccupare la sinistra tradizionale, a difesa dei deboli, degli ultimi (i diritti economici e sociali, attualmente meglio difesi dai grillini e dalla Lega), ma a rafforzare l’area moderata laicista, liberal.
Ci si chiede, a questo punto, quale sia la differenza tra il “fronte repubblicano di Calenda” e il “progetto-Macron”, ipotizzato da Renzi, un paio di mesi fa: stesse idee e stessi
obiettivi. Una sinistra-centro, per rappresentare i ceti medi moderati e imprenditoriali che un tempo votavano Fi. E’ l’immagine pulita e spendibile del “bieco” patto del Nazareno con Verdini.
Nonostante Calenda, tutte le strade portano a Renzi?