La manovra economica è realtà, il Consiglio dei Ministri ha licenziato il testo definitivo che è stato poi trasmesso a Bruxelles dove dovrà essere valutato dalla Commissione europea. Ora ovviamente la legge finanziaria 2019 approderà in Parlamento dove potrà essere ritoccata e modificata, anche se l’impianto generale sembra ben consolidato. Lega e Movimento 5Stelle sembrano aver rispettato i patti assunti con gli elettori, ma ora resterà da capire quanto davvero le misure preventivate favoriranno la crescita auspicata. Lo Speciale ne ha parlato con l’economista Antonio Maria Rinaldi, docente di Economia politica e animatore del sito Scenari Economici.
Come giudica complessivamente la manovra?
“La definirei una manovra da minimo sindacale. Da osservatore esterno mi rendo perfettamente conto che era impossibile andare oltre per non suscitare le ire funeste di Bruxelles. Per il momento quindi ci si è dovuti mantenere su livelli compatibili con il mantenimento di buoni rapporti con l’Europa. Per poter favorire il famoso choc di cui l’economia italiana ha davvero bisogno, avremmo dovuto fare ricorso a sforamenti ben più alti del 2,4%”.
Partiamo dalla pace fiscale che le opposizioni stanno definendo un condono. Condivide l’aliquota del 20% per sanare i debiti pregressi o avrebbe agito diversamente?
“Non è affatto un condono per evasori come l’opposizione si ostina a voler far credere. In questa operazione di sanatoria sono coivolti soltanto quei soggetti che hanno già prodotto una dichiarazione, non gli evasori totali. Si sta seguendo il percorso già esistente del ravvedimento fiscale. Il provvedimento è stato impostato sulla base di possibilità in parte già esistenti e codificate. L’obiettivo è quello di mettere in piedi un’operazione equa nei confronti di chi ha già pagato, per ottenere anche un gettito tale da poter assicurare maggiori coperture economiche. Mettere in atto un perfetto equilibrio di questi fattori non è facile, ma penso che negli anni questa misura potrà favorire un gettito importante. L’aspetto poi essenziale è che con la pace fiscale si riuscirà a sanare situazioni che riguardano sia i cittadini che le piccole e medie imprese, bisognose di riavere la verginità fiscale per ottenere l’accesso al credito bancario. Questo è molto importante”.
Nel campo pensionistico si è stabilita l’introduzione della quota cento con una combinazione fra 62 anni di età anagrafica e 38 anni di contributi versati. E’ la strada giusta?
“Per il momento si è partiti con questa combinazione di parametri, poi sarà importante vedere in fase di applicazione se ci saranno alcune possibilità per i cosiddetti precoci e per i lavori usuranti. Mi sembra sia stato ribadito il concetto voluto sia dalla Lega che dal M5S di abolire la Legge Fornero. Sarà fondamentale poi capire come la misura sarà licenziata dalle Camere e come soprattutto sarà attuata sul piano tecnico. Non dimentichiamo che questa è soltanto la cornice politica degli interventi previsti, poi serviranno i regolamenti attuativi e sarà quindi decisivo capire come dalla teoria si passerà concretamente alla fase pratica”.
Il reddito di cittadinanza secondo molti occuperebbe troppo spazio in manovra sottraendo risorse allo sviluppo e agli investimenti. E’ così?
“Qui è necessario partire da un fatto incontrovertibile, ossia la totale assenza di sensibilità e attenzione da parte dei precedenti governi nei confronti di quelle fasce sociali che hanno pagato il prezzo più alto per colpa della crisi. Ci sono circa cinque milioni di persone che vivono in totale povertà. Non parliamo poi della disoccupazione giovanile. Questi 780 euro sono il numero limite con il quale l’Ocse definisce la soglia di povertà. Non è un numero quindi preso a caso. Questo comporterà l’adeguamento anche di tutte quelle situazioni che sono sotto questa soglia. E’ ovvio che le risorse sono limitate e che questo porterà a favorire in prima istanza quelle persone che hanno maggiore bisogno. Spero che poi le risorse aumentino, ma nel contempo diminuisca la platea dei beneficiari grazie all’auspicata ripresa dell’economia”.
La Commissione europea sembra decisa a prendere tempo e ad esprimersi sulla manovra soltanto dopo le agenzie di rating. Questo che vuol dire e cosa rappresenta una simile strategia?
” Distinguiamo fra Unione europea e governance europea. Quest’ultima ha completamente fallito la sua missione non essendo stata capace di dare risposte efficaci in ordine alla crescita, alla lotta alla disoccupazione e alla povertà. E’ dunque giusto che i governi dei singoli Paesi europei procedano in maniera autonoma. Non dimentichiamo poi che questa governance, incarnata dalla commissione Juncker, a maggio farà le valigie e quindi anche a Bruxelles si sta già in clima di piena campagna elettorale. I toni sono naturalmente sopra le righe, come dimostra anche l’intervento di Mario Draghi, che nei giorni scorsi ha lanciato un appello alla moderazione. Meno si parla in questo momento e meglio è per tutti. Ciò premesso, non possiamo accettare che il destino di un Paese possa dipendere dal giudizio di un’agenzia di rating, perché significherebbe sancire di fatto la morte della democrazia. Anche perché è sbagliato chiamare questi soggetti agenzie, visto che si tratta principalmente di società di consulenza private con conflitti d’interessi grossi come grattacieli. L’Italia non può stare sotto scacco di una società privata che rischia di agire sulla base degli interessi dei propri soci. L’unica agenzia di rating che mi sento di riconoscere e rispettare è quella che valuta l’operato dell’Europa”.
E quale sarebbe?
“Il corpo elettorale, i cittadini europei che a maggio, in tutti gli Stati membri della Ue, si recheranno alle urne e daranno il loro insindacabile giudizio sull’operato di chi fino ad oggi ha governato a Bruxelles”.