Referendum Atac a Roma. Due sono stati gli sconfitti della consultazione fallita per mancanza di quorum (ha votato solo il 16,4% dei cittadini, dimostrando l’usura di uno strumento ormai abusato e la scarsa popolarità del tema): i radicali che lo hanno promosso, sostenendo la privatizzazione della municipalizzata, e che ora gridano al golpe, preparando ricorsi al Tar, segno che i “democratici dei diritti civili per eccellenza”, quando subiscono i flop dal popolo, non accettano la democrazia; e la stessa Sindaca di Roma, che, dopo la sentenza di assoluzione sul “falso che non costituisce reato”, dovrà rinunciare ai suoi progetti politici.
E’ ritenuto che, secondo precise indiscrezioni, più che ad una Resistenza aventiniana, con i suoi fedelissimi, byssando l’eresia-Pizzarotti, in caso di dimissioni da sentenza di condanna (per il codice etico dei 5Stelle), la Sindaca stava pensando ad un “piano B” non da poco: lavorare per un progetto di nuova sinistra laicista, con spezzoni boldriniani, Sel, centri sociali, radicali e cattolici sociali (alla Sant’Egidio). Un’ exit strategy dando per scontata l’Opa leghista sulla Capitale, che si sarebbe sostanziata durante la manifestazione prevista per l’otto dicembre prossimo.
Invece, ora dovrà ripartire e uscire mediaticamente dal buco nero un’immagine ormai compromessa, rispetto alla rivoluzione reclamizzata dopo le elezioni e alle troppe aspettative dei romani.
Roma è nel degrado e deve uscirne. Infatti, la Raggi ha annunciato un check sul programma per passare alla fase-due dell’amministrazione.
E per di più, le tocca gestire l’effetto-flop-referendum. E dovrà necessariamente studiare una riforma dell’Atac, che resterà saldamente nelle mani pubbliche.
I primi segni dall’alto sono arrivati. Di Maio ha promesso più soldi e poteri per Roma. Tornata, dopo le prese di distanza (prima della sentenza), capitale.