Tutti gli incubi e i dubbi dell’ultimo Salvini in vista dell’8 dicembre

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Non c’è giorno che Salvini non cambi linea nella sua comunicazione. La regola è nota: il populismo mediatico è la linfa e l’ossigeno del populismo politico (categoria in cui rientra la Lega).
Il capo del Carroccio, infatti, ha iniziato l’esperienza di governo fissando i paletti ideologici e creando una demarcazione netta rispetto a nemici e alleati. Rispetto ai nemici, ha fatto subito capire chi comanda. Una battaglia chiara, in coerenza con le promesse elettorali, e che ha riguardato e riguarda, il tema della sicurezza, dell’immigrazione, dell’anti-Ue. Tutte strategie studiate a tavolino e anticipate nel noto lavoro social ispirato da Luca Morisi. Il tema della chiusura dei porti, ad esempio, è stato un trend sperimentato ben due anni prima della formazione dell’esecutivo Conte.

Rispetto agli alleati (i pentastellati), Salvini li ha confinati al mero dato sociale (Decreto Dignità, reddito di cittadinanza), obbligandoli, non senza fibrillazioni e difficoltà interne, a correggersi sugli argomenti leghisti, e su argomenti oggettivi, come la prescrizione, i condoni, le infrastrutture, gli inceneritori, la Tav etc.
Salvini ha accelerato toni, contenuti e comunicazione, in modo violento, specialmente in occasione della scrittura della manovra, polemizzando con la Ue, con i Commissari Europei, rischiando di far saltare il tavolo.

E proprio la manovra ha rappresentato e rappresenta il punto di svolta della sua leadership. Adesso il suo ordine di scuderia è “tirare il freno”, moderare gli accenti per arrivare a soluzioni “condivise”.
E infatti, l’ultimo Salvini sembra più rassicurante, la copia incolore del primo Salvini. Ora, da qualche giorno, riferiscono i suoi, si sente accerchiato, isolato, confinato al ruolo di estremista, laddove Di Maio, al contrario, si sta ritagliando il ruolo di moderato, di ministro credibile e più omogeneo alla figura di Conte.

E i dubbi di Salvini sono: continuare a frenare o ritornare all’aggressività dei primi temi? Da un lato, sondaggi alla mano, lui potrebbe ancora guadagnarci, sia se fa cascare il governo, sia se torna nel centro-destra (vampirizzerebbe comunque i suoi ex soci di coalizione, da Fi a Fdi). Dall’altro, se accetta il ruolo di pompiere, rischia di contribuire a trasformare il primo governo populista della storia repubblicana, in un governo debole, addomesticato da Bruxelles.
E cosa si inventerà l’8 dicembre? Quale nuova guerra dichiarerà a piazza del Popolo, visto che non può nemmeno lanciare l’Opa su Roma, dopo l’assoluzione della Raggi? I più informati giurano che ha già pronto l’asso nella manica.

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