La scelta di Mario Draghi come premier di quello che si sta delineando sempre di più come un governo di unità nazionale, pone alcuni interrogativi per ciò che riguarda le priorità da affrontare, le risorse europee da investire, le riforme da mettere in campo e, non ultimo, il rapporto con i territori, soprattutto quelli del centro-sud che continuano a dover fare i conti con una serie di croniche criticità che ne impediscono lo sviluppo. Di tutto questo abbiamo parlato con il senatore di Forza Italia Nazario Pagano, parlamentare dell’Abruzzo, dove è stato consigliere regionale e presidente del Consiglio regionale. Attualmente è vice-presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato.
Cosa pensa di Mario Draghi e di questa nuova stagione di unità nazionale?
“Sono lieto che il Presidente Mattarella, anche a seguito di una dura trattativa con la maggioranza precedente, abbia preso atto della drammatica situazione del Paese e che abbia deciso di affidarsi al meglio dell’autorevolezza italiana nel mondo. In un momento così difficile è stata la scelta migliore, caldeggiata sin dal primo momento dal presidente Silvio Berlusconi. Draghi è la persona più gradita presso i mercati europei ed è stimata dai maggiori leader internazionali, dalla Merkel a Macron fino agli Stati Uniti. Sicuramente possiamo dire con certezza che è iniziata una nuova fase politica non più basata sul dilettantismo e l’approssimazione ma sulle competenze reali e le esperienze qualificate. In questo momento le emergenze del Paese hanno bisogno di risposte concrete, che i precedenti governi guidati da Giuseppe Conte non sono stati in grado di dare. Questo è un periodo drammatico dal punto di vista sanitario, economico, sociale, non potevamo permetterci un premier e dei ministri incapaci di trovare soluzioni e che rischiavano seriamente di aggravare i problemi anziché risolverli. Certamente il governo Draghi, che speriamo ottenga la più ampia fiducia in Parlamento, saprà chiudere questa pagina oscura della storia politica italiana”.
Cosa risponde a chi si mostra scettico di fronte all’ennesimo premier non eletto dal popolo?
“Penso che i cittadini guardino ai risultati e abbiano capito che non si può andare avanti con la politica dei maldipancia e dell’odio sociale. Hanno preso ormai consapevolezza dell’errore commesso nel dare fiducia a personaggi privi di competenza e bravi soltanto ad insultare il prossimo. Credo che quel 30 % che al referendum sul taglio dei parlamentari ha detto No, sia la dimostrazione più evidente di come tante persone abbiano iniziato a tirare fuori la testa dal sacco, rendendosi conto che non è con la demagogia e con l’antipolitica che si può governare l’Italia”.
Quali sono i settori dove il nuovo governo dovrebbe investire di più anche dimostrando una chiara inversione di tendenza?
“Innanzitutto il settore sanitario. Va attuato immediatamente il miglior piano vaccinale possibile, perché senza i vaccini non si può uscire dall’emergenza Covid 19. Finché resteremo nell’emergenza pandemica non potremo progettare il futuro. Serve dunque un piano di vaccinazione rapido ed efficace, giocando soprattutto sul fattore tempo perché finora se ne è perso anche troppo grazie al governo uscente. Poi bisogna agire su tre direttive. La prima riguarda il mondo della scuola e della formazione. Il popolo italiano rischia di trovarsi sempre più sprovvisto di competenze, e per questo occorre puntare subito su una riforma del sistema scolastico e universitario; anche qui si sono prodotte tantissime chiacchiere e zero risultati. Poi al secondo posto c’è la riforma fiscale che a mio giudizio è strettamente collegata con la formazione. Fino a quando avremo una pressione fiscale opprimente non potremo pretendere che i nostri imprenditori possano decollare e competere sui mercati internazionali. Soltanto se riusciremo a rendere le nostre imprese economicamente solide e competitive potremo sperare che tornino ad investire anche nella formazione, aumentando i livelli occupazionali e quindi creando lavoro”.
Il terzo aspetto?
“Non meno importanza della formazione e del fisco riveste l’esigenza di una seria riforma della giustizia sia nel campo civile che in quello penale. Nel primo caso ci troviamo di fronte a cause che durano anni, e questa è una delle ragioni che fanno scappare di più gli investitori stranieri e scoraggiano gli imprenditori. Assurdo pensare che si possa investire in Italia dove la minima controversia legale rischia di tenere bloccata l’attività aziendale per anni interi. E qui entra in gioco anche la necessità di riformare il codice degli appalti iniziando con l’abolire definitivamente quello attuato dal Pd quando Renzi era Presidente del Consiglio. In prima persona mi sono battuto per questo e continuerò a farlo in Parlamento. Un meccanismo infernale, quasi architettato per bloccare tutto, visto che chi non riesce ad aggiudicarsi l’appalto ricorre puntualmente alla magistratura impedendo praticamente ogni tipo di attività. Bisogna quindi velocizzare al massimo i tempi della giustizia civile e amministrativa, ma anche quelli della giustizia penale, visto che siamo ingabbiati da un sistema giustizialista che tratta gli indagati, anziché come presunti innocenti, come colpevoli certi, dando vita ad una pericolosissima patologia che impedisce alla politica e al mondo delle imprese di poter lavorare serenamente. A queste riforme è collegato anche il Recovery Plan che prevede investimenti nelle nuove tecnologie e nell’economia green. Sappiamo perfettamente che per avere le risorse dobbiamo redigere riforme che consentano lo sviluppo di un’economia compatibile con l’ambiente e che diano impulso allo sviluppo tecnologico e digitale, visto che da questo punto di vista siamo molto indietro rispetto agli altri Paesi europei”.
Il governo Draghi si caratterizza per il profilo europeista ed internazionale, ma sarà in grado di ascoltare anche la voce dei territori?
“Questo dipenderà da come sarà composto il governo. Ritengo legittimo che la nomina dei ministri venga lasciata al presidente Draghi che saprà scegliere sicuramente i collaboratori più adatti, le persone giuste nei posti giusti e dunque capaci di affrontare e risolvere le criticità del Paese, rapportandosi in maniera adeguata con le istituzioni europee ed internazionali. Diverso invece il criterio per la nomina dei sottosegretari che ritengo debba essere esclusivamente politico, con i partiti che dovranno indicare le risorse migliori. Il rapporto con i territori dovrà passare necessariamente da una forte sinergia da instaurare nella conferenza Stato-Regioni, dove si spera l’articolo V della Costituzione possa essere ulteriormente modificato, concedendo maggiori poteri alle Regioni e ai Comuni. Ma come detto credo che il ruolo più importante dovranno giocarlo i sottosegretari che a mio giudizio dovranno essere tutti politici. Starà poi ai singoli partiti scegliere le persone più rappresentative nei singoli territori, parlamentari che esprimono un largo consenso nelle regioni di provenienza e che conoscono a fondo quelle che sono le istanze delle rispettive zone. E’ ovvio che se non si seguiranno questi criteri, un deficit nei rapporti con i territori potrebbe effettivamente venirsi a creare”.