“Noi non saremo il partito della zona ZTL”. L’unica cosa che ha salvato Enrico Letta, appena incoronato re del Pd, è che abita al Testaccio, fuori di qualche chilometro dalla “incriminata” zona ZTL (i limiti di circolazione nel centro storico di Roma). Zona-discrimine ideologico che ha citato nel suo discorso di insediamento.
Il suo partito non sarà, come è invece da anni, da Renzi in poi, la bandiera dei ricchi, dello status quo, del ceto privilegiato, garantito, della casta intellettuale, le banche, la finanza, di quella gente che abita appunto nei quartieri-bene, alto-borghesi, che per confermare un felice slogan dei Gilet Gialli, pensano “alla fine del mondo” e non “alla fine del mese”.
Quindi, salto di qualità “rivoluzionario”. I dem saranno un “partito di prossimità”, torneranno tra quelle “persone”, i prossimi, che lo slogan di Zingaretti (“dalla parte delle persone”), sembrava aver centrato, intuito, e che la sua guida politica non ha perseguito. Incastrandosi in un governismo (la maggioranza giallorossa) e in un correntismo che lo ha dilaniato e massacrato.
Riuscirà il Pd a tornare per la strada e riprendersi quel consenso popolare che era il suo Dna? E’ un’operazione non facile, al limite dell’impossibile.
Enrico Letta sembra avere grinta e chiarezza di intenti. Ha promesso un partito “più rosa”, anche per rispondere alla recente polemica sulla poca rappresentanza femminile nel governo Draghi, a differenza della destra che al contrario, si è mossa meglio su questo terreno. E, colpo, da maestro, ha detto che i suoi grandi elettori “non hanno bisogno di un nuovo segretario, ma di un nuovo Pd”.
Non sfugge a nessuno, infatti, che la reggenza di Letta, in vista del congresso, potrebbe trasformarsi in una gestione da commissario liquidatore. I gruppi interni, gli uni contro gli altri armati, lo hanno scelto, ma è assai difficile che possano trovare un collante stabile e un obiettivo condiviso. C’è chi tira a sinistra: Bettini che vorrebbe far rientrare la Ditta, da D’Alema a Bersani, più Leu. E c’è chi tira al centro, per entrare in competizione con l’operazione parallela di Conte nei nuovi 5Stelle, destinati a diventare un partito moderato, liberale ed ecologista.
Letta sta nel mezzo, e dovrà fare i salti mortali per cementare le varie anime. Occorre vedere quale sarà la sua prospettiva, la sua visione.
Il Pd nasce come partito figlio di due spezzoni della prima Repubblica: la Dc di sinistra (il Ppi) e il Pci. L’ambizione era un soggetto “a vocazione maggioritaria”, traguardo che ha sfiorato con Veltroni e raggiunto alle europee con Renzi (il partito della nazione, speculare all’ex partito degli italiani, Pdl, di Berlusconi); tesoretto del tutto sbiadito ed evaporato col passare del tempo. Adesso viaggia intorno al 17% e nessuno sa se si tratti di un partito laburista, clintoniano, social-democratico, riformista, neo-post-comunista o radicale di massa. Da partito a vocazione maggioritaria a partito (dati i numeri) a “obbligo di coalizione”.
E indubbiamente sta pagando lo scotto dell’alleanza con i grillini, col giustizialismo giacobino, il cesarismo di Conte, l’incompetenza della classe dirigente 5Stelle. E adesso rischia di pagare il protagonismo-silente e autorevole di Draghi e il protagonismo mediatico di lotta e di governo di Salvini. Non a caso Letta ha subito detto che il suo partito è “il motore del governo”. Più che una realtà è un’ambizione.
Al di là delle dichiarazioni di intenti, con quali idee il neo-leader ritrovato pensa di ricollocare culturalmente il Pd, in questa fase pandemica, di emergenza economica e di ricostruzione nazionale che ha imposto l’esecutivo di tutti? Con lo ius soli. Una battaglia ideologica senza senso, totalmente decontestualizzata e superata.
Riproporre ora tale tema, serve unicamente a unire astrattamente il partito, recuperare centralità mediatica, suscitare polemiche. Ma non c’entra col presente. Anzi, conferma la nebulosa culturale, l’altrove in cui naviga la sinistra da decenni. Il sogno di un mondo globalizzato, senza identità, dove basta mettere il piede su un suolo per diventare cittadini, ignorando che quel suolo è frutto di una storia, di una cultura, di un percorso fatto da un popolo. Ecco, lo ius soli relativizza, banalizza la realtà, esattamente come il Pd, estraneo alla realtà.
Letta ha nominato tre volte Prodi. L’unica zattera potrebbe essere l’Ulivo, una coalizione di centro-sinistra, con 5Stelle-contiani, Leu e altri. Niente di nuovo. Ma tra il niente di nuovo e lo ius soli, la partenza di Letta è scadente.