La cura del Covid attraverso l’utilizzo degli anticorpi monoclonali è autorizzata, funziona ma non decolla. “A sette mesi dall’autorizzazione all’uso – scrive Il Fatto quotidiano – i pazienti trattati con farmaci a base di anticorpi monoclonali sono infatti stati soltanto 7.500 sparsi tra tutte le regioni d’Italia”. Il ventunesimo Report sugli Anticorpi Monoclonali per Covid-19 dell’Agenzia italiana del Farmaco (Aifa), ha confermato che finora sono stati 7.961 i pazienti iscritti nei registri di monitoraggio di questi farmaci e che ne hanno ricevuto una dose. In termini assoluti ad averne dispensati più sono Lazio, Veneto e Toscana che hanno superato la quota delle mille dosi. Ma come mai questa cura non viene adeguatamente pubblicizzata? E come mai a farne ricorso è una platea limitata? Abbiamo provato a capirlo con il medico Giulio Tarro allievo di Albert Sabin, inventore del vaccino contro la poliomielite, e proclamato miglior virologo dell’anno nel 2018 dall’Associazione internazionale dei migliori professionisti del mondo (IAOTP).
Come mai la terapia anti-Covid con anticorpi monoclonali non decolla nonostante risulti altamente efficace?
“La spiegazione più ovvia è legata ai costi, si tratta di una terapia molto costosa. Gli anticorpi vengono prodotti specificatamente in laboratorio dalla casa farmaceutica e poi commercializzati. Si sa, il dio denaro fa la differenza”.
Non è invece legittimo sospettare che non si voglia far decollare questa cura per timore che la gente rinunci a vaccinarsi?
“No, questo non lo credo. Ripeto, è un problema legato ai costi.”.
Perché, di quali cifre parliamo?
“Le cifre le stabiliscono le aziende farmaceutiche, ma è chiaro che non si tratta di un costo minimo, perché fra produzione e commercializzazione la spesa inevitabilmente viene a lievitare: per questo lo Stato ci va con i piedi di piombo, la usa come terapia emergenziale limitata ai soggetti più fragili e a rischio”.
Lei la consiglierebbe ad un suo paziente?
“Io già nell’aprile del 2020 in piena pandemia consigliavo questo tipo di approccio insieme alla sieroterapia attraverso il plasma dei guariti. All’epoca mi attaccavano, oggi invece si meravigliano se sono poche le persone che ricorrono alla terapia monoclonale. Strano Paese il nostro”.
Si parla di persone, anche note, guarite perfettamente grazie alla terapia monoclonale. Effettivamente una crescita delle cure si nota, ma perché anche dal punto di vista della comunicazione c’è tanta difficoltà nel parlarne?
“Se lei pensa che mentre io ed altri suggerivamo questo approccio terapeutico, a livello istituzionale impedivano qualsiasi tipo di cura che non fosse la vigila attesa e la tachipirina con la gente che si aggravava, riempiva le terapie intensive e moriva, si meraviglia del fatto che non si parli di monoclonali o di plasma? Piuttosto interroghiamoci su quanto tempo prezioso si è perso prima”
Lei ha dichiarato di essersi vaccinato con Johnson & Johnson. Che differenza esiste con i vaccini ad mRNA?
“Dipende tutto dal soggetto, dall’età e dal quadro clinico. Chi per esempio è in età di concepimento farebbe meglio a fare il vaccino Johnson & Johnson rispetto agli altri. E’ quello che ho scelto di fare io con una sola dose ed è quello che consiglio anche agli altri”.
Però l’obiezione è che mentre i vaccini ad mRna possono essere rimodulati sulle varianti, come gli stessi anticorpi monoclonali, questo non avverrebbe per gli altri vaccini. Come risponde?
“Che è una sciocchezza. Il Johnson & Johnson è concepito per essere somministrato con una sola dose rispetto agli altri, la differenza è soltanto questa. Non si tratta di stabilire l’efficacia. E’ una questione che riguarda l’opportunità o meno di somministrare determinati vaccini ad alcune categorie di persone rispetto ad altre “.
E con le varianti che succede?
“Che c’entrano le varianti in questa situazione? Ancora insistiamo con questa storia che non sta in piedi. Le varianti c’erano già prima delle vaccinazioni e sempre ci saranno. Già a maggio dell’anno scorso il Covid era mutato, non era più quello iniziale. I virus mutano naturalmente. Non mi pare che la situazione sia così tragica come ce l’hanno rappresentata o come hanno avuto forse interesse a rappresentare. Gli inglesi sono un punto di riferimento in fatto di vaccinazioni e mi pare che abbiano gestito egregiamente la situazione. In Danimarca la prossima settimana riapriranno tutto, non sarà più obbligatorio esibire il green pass da nessuna parte, non ci sarà più alcuna restrizione nei confronti di nessuno. Ma di cosa stiamo parlando?”.
Quindi dal punto di vista della sicurezza, chi è meglio protetto fra i vaccinati?
“Ripeto, è una questione di età. Chi è nell’età del concepimento è molto più opportuno che faccia il Johnson & Johnson secondo me, trattandosi di un vaccino a vettore virale che induce il sistema immunitario a produrre anticorpi e globuli bianchi specializzati in grado di agire contro il virus. Per quanto riguarda invece i vaccini ad mRNA, finché non saranno escluse con certezza le eventuali correlazioni, si può correre il rischio di subire alterazioni genetiche dei feti inducendo modifiche sugli spermatogoni o sugli ovuli. Che ciò possa avvenire non è dimostrato, ma al momento non può essere nemmeno escluso e probabilmente ci vorrà del tempo prima di stabilirlo con certezza. Ragione per cui sconsiglierei i vaccini ad mRNA a chi è in età fertile”.