La notizia, come l’argomento, suscita e susciterà ancora per molto, una spaccatura non solo nel Palazzo, ma anche nel paese.
La Corte ha bocciato il referendum-Cappato sull’eutanasia. Quindi, la legalizzazione non ci sarà. Dopo tre ore di camera di consiglio i giudici della Consulta hanno ritenuto che non ci fosse “la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana”. Il quesito referendario, come noto, chiedeva che venisse abrogato parzialmente l’articolo 579 del codice penale, ovvero l’omicidio del consenziente.
Scontate le reazioni. Cappato parla di notte della Repubblica, di cattiva notizia per la democrazia e i diritti. Stessa comunicazione usata dopo la bocciatura del Ddl Zan. Enrico Letta, ha intravisto una possibilità “salvifica” per il suo fronte (il centro-sinistra è stato l’amplificatore di questa svolta obbligata di costume): “La bocciatura deve spingere il parlamento ad approvare una legge sul suicidio assistito”. E’ la solita prassi: Camera e Senato col compito di riempire i vari vuoti normativi che la vita reale evidenzierebbe rispetto al diritto, troppo fermo e immobile.
Il centro-destra gongola. Per la Meloni “si tratta di una decisione sacrosanta, era un quesito inaccettabile che avrebbe scardinato l’ordinamento”. Una legittima posizione da mero target valoriale. Mentre i suoi alleati gongolano di meno, per ragioni diverse. Gli azzurri geneticamente, hanno al loro interno una forte componente laicista. Emblematico il commento della ministra Gelmini: “E’ un tema delicato che interroga la nostra coscienza. Sono cattolica, ma credo si debbano rispettare le sofferenze di tante persone”. Un colpo al cerchio e uno alla botte. Come da direttiva berlusconiana (Fi, un partito liberale, cattolico, moderato e riformista: un po’ a destra, un po’ a sinistra). Altrettanto significative e strategiche le parole di Salvini: teme l’effetto astensione, a discapito dei suoi quesiti sulla giustizia, visto che il referendum sull’eutanasia avrebbe polarizzato gli italiani e pertanto, influito sulla partecipazione. Ma si può equiparare un tema come lo scontro tra la vita e la morte, con gli interessi del partito e di una leadership?
La Cei è soddisfatta, anche perché finalmente papa Bergoglio, a differenza del passato, da qualche tempo sembra essere maggiormente coinvolto nel bocciare temi anticristiani e anti-antropologici, come appunto il Ddl Zan e l’eutanasia. Esulta il mondo pro-life, da Pro Vita e Famiglia al Popolo della Famiglia.
Ma è sulle reazioni del mondo culturale e giornalistico che c’è molto da dire. Il mantra ripetuto a mo’ di slogan è ossessivamente ideologico: “Passo indietro, rispetto alla società”. Ma chi può parlare a nome della società? Chi può essere l’interprete delle lancette della storia? Ai soloni del pensiero unico non viene mai in mente che magari c’è un’altra idea di modernità (non solo quella laicista), basata sul primato della vita e della famiglia naturale, sul no-gender e il no all’utero in affitto etc? E che in Italia c’è forse una maggioranza di buon senso che non avrebbe mai accettato una risposta di morte, mettendo al centro l’accompagnamento dei malati inguaribili, ma non incurabili e le cure palliative?
E poi, altra ulteriore considerazione: visto che già stiamo andando verso uno Stato etico, nella sua declinazione sanitaria, possiamo aspettarci pure uno Stato etico nella sua versione mortifera che ci dice come dobbiamo vivere e morire? Scaricando sui malati e sofferenti la responsabilità di una scelta suicida, esattamente come lo stesso metodo del consenso informato, con cui il sistema ha scaricato sul cittadino, la responsabilità degli effetti negativi del vaccino, che la neo-lingua chiama reazioni avverse.