Referendum, il costituzionalista Palma: “Cosa si vota e cosa cambierebbe”

6 minuti di lettura

Domenica gli italiani saranno chiamati alle urne per votare cinque referendum abrogativi in materia di giustizia, e mai come stavolta si è registrato un disinteresse generale intorno ad argomenti che pure potrebbero portare ad una radicale riforma del sistema giudiziario. Per capire cosa voteremo, e soprattutto cosa potrebbe cambiare nel caso in cui questi referendum dovessero avere buon esito, ci siamo rivolti al costituzionalista, avvocato e scrittore Giuseppe Palma, autore di un libro scritto a due mani con Paolo Becchi e incentrato proprio sui quesiti referendari.

Come mai tanto silenzio intorno a questi referendum? Molta gente ignora anche che domenica si vota, specie laddove non sono previste le amministrative

“Il sistema, e mi riferisco a quello descritto da Luca Palamara nel suo libro, ha fatto quadrato intorno a sè. Non fa comodo parlare di questi referendum, perché se se ne parlasse come avvenuto in occasione del referendum confermativo sulle riforme costituzionali di Renzi, la gente correrebbe tutta alle urne, come avvenne all’epoca. Con la differenza che allora, trattandosi di un referendum confermativo, non era richiesto il quorum. Stavolta, trattandosi invece di referendum abrogativi, il sistema sta facendo di tutto per impedire che il quorum venga raggiunto. Tenga conto che secondo tutti i sondaggi almeno il 65% degli italiani dichiara di non avere alcuna fiducia nella giustizia, quindi se si facesse un’informazione dettagliata sui cinque quesiti e la gente fosse informata correttamente, il quorum molto probabilmente sarebbe superato alla grande con una larga vittoria dei Sì”.

Vedo che non ha molta fiducia su un esito positivo

“In verità devo dire che negli ultimi giorni molte persone stanno prendendo coscienza dell’importanza dei quesiti, quindi non ho perso affatto la speranza. Fino al 31 maggio non si è parlato dei referendum, ma dal primo giugno i telegiornali almeno un minuto sul tema lo stanno dedicando e tante persone hanno preso conoscenza del fatto che domenica si vota. Il problema è che mancano i dibattiti necessari per approfondire le ragioni tanto dei Sì che dei No e questo è un vulnus molto grave”.

Ci spiega perchè questi referendum sono importanti?

“Ritengo si tratti dei referendum più importanti degli ultimi decenni. Le norme sottoposte a quesito, se abrogate, muterebbero radicalmente la storia di questo Paese dal punto di vista giudiziario. Il quesito relativo al sistema di elezione dei membri del Consiglio superiore della Magistratura porrebbe fine al correntismo; quello sull’equa valutazione dei magistrati nei consigli giudiziari distrettuali consentirebbe di superare definitivamente l’autoreferenzialità della magistratura; quello sulla separazione delle carriere permetterebbe di portare a compimento il principio del giusto processo sancito dall’articolo 111 della Costituzione; quello sui limiti alla custodia cautelare è utile per impedire ‘ la barbarie del tintinnio delle manette’ come da definizione dell’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro; infine quello sull’abolizione delle norme della Legge Severino restituirebbe alla politica la dignità del suo ruolo e nel contempo impedirebbe alla magistratura di fare politica”.

Questi referendum non rischiano di compromettere la Riforma Cartabia che a detta di illustri giuristi e costituzionalisti è considerata molto innovativa, specie su questioni come la separazione delle carriere?

“La Riforma Cartabia in realtà ancora non esiste, perché di fatto è ferma in Senato. Ma si tratta comunque di una riforma che si limita ad offrire dei pannicelli caldi. Sulla separazione delle carriere per esempio consente comunque almeno una volta il passaggio dopo nove anni; sul sistema di elezione del Csm prevede dei cambiamenti ma non così sostanziali e fondamentali come ci si attenderebbe. Anche la questione dell’equa valutazione dei magistrati nei consigli giudiziari distrettuali non è affrontata in maniera risoluta essendo oggetto di delega e quindi sottoposta all’intervento di un decreto legislativo del governo; mentre per ciò che riguarda i limiti alla carcerazione preventiva e quelli che io definisco gli abusi della legge Severino non è previsto nulla”.

Se i referendum raggiungeranno il quorum e vinceranno i Sì cosa cambierà sostanzialmente? Non è sempre il Parlamento poi a dover regolamentare il tutto?

“Il referendum abrogativo produce effetto immediato, quindi le norme sottoposte a quesito, dopo la pubblicazione dei risultati sulla Gazzetta Ufficiale, verrebbero di fatto abolite. Il popolo in questo caso esercita direttamente la sovranità abrogando quelle norme. Dal punto di vista politico poi il segnale sarebbe dirompente perché arriverebbe sia al Governo che al Parlamento il messaggio che il popolo italiano vuole una riforma della giustizia liberale e garantista. Con il professor Becchi abbiamo pubblicato un libro puntando l’attenzione proprio su questo aspetto, evidenziando come al di là delle questioni prettamente tecniche, una vittoria dei Sì avrebbe significativi risvolti politici. Farebbe capire in maniera chiara che gli italiani vogliono mettere fine alla guerra dei trent’anni fra politica e magistratura, passando da una stagione contrassegnata dal giustizialismo ad una nuova era liberale e garantista”.

Chi è che alla fine non vuole la riforma della Giustizia e tanto meno l’abrogazione delle norme sottoposte a referendum?

“La stragrande maggioranza dei magistrati italiani sono persone serie che lavorano egregiamente e a questi magistrati deve andare tutta la nostra stima e la massima riconoscenza per il modo ligio e trasparente con cui amministrano la giustizia in Italia. Purtroppo però esiste nella magistratura una minoranza fortemente politicizzata e ben organizzata in correnti, ed è quella che finisce con il prevalere. Poi ovviamente ci sono anche dei partiti politici che dalla magistratura politicizzata hanno ricavato benefici e mi riferisco principalmente al centrosinistra e al Movimento 5Stelle che hanno potuto farsi strada cavalcando spesso anche in modo pretestuoso le inchieste che riguardavano gli avversari, presentandosi come paladini della legalità. Devo dire però che nel Partito Democratico c’è un dibattito aperto e diversi esponenti hanno dichiarato di andare a votare e di esprimersi favorevolmente almeno su tre quesiti. Questo ha costretto Enrico Letta a lasciare libertà di scelta”.

Perché è così difficile in Italia far passare il principio della separazione delle carriere in magistratura?

“Per una questione di mero carrierismo. Se io faccio il pubblico ministero e ho difficoltà a fare carriera nella procura in cui lavoro, se appartengo ad una corrente molto forte posso passare alla magistratura giudicante e fare carriera all’interno di essa. Questo ovviamente può avvenire anche a ruoli invertiti. Ma questo contrasta con l’articolo 111 della nostra Costituzione dove è stabilito che il processo deve svolgersi in condizioni di assoluta parità fra accusa e difesa davanti ad un giudice terzo ed imparziale. Capisce bene però che se un magistrato per venti anni è stato pubblico ministero ed ha un modus operandi di tipo inquisitorio, nel momento in cui passa a giudicare non può garantire fino in fondo quella terzietà richiesta, rischiando di considerare l’imputato non un presunto innocente ma un presunto colpevole. La Riforma Cartabia da questo punto di vista un passo avanti importante lo ha fatto, ma se vincessero i Sì ai referendum di domenica la spinta sarebbe davvero decisiva”.

Un altro tema molto delicato riguarda il rapporto fra politica e magistratura che negli ultimi trent’anni è stato spesso molto conflittuale. C’è la possibilità di un riequilibrio fra poteri dello Stato?

“Con l’inizio di Tangentopoli purtroppo l’equilibrio fra poteri dello Stato si è rotto, soprattutto quando nel 1993 è stato deciso di abolire l’immunità parlamentare voluta dai padri costituenti proprio per evitare interferenze della magistratura sulla politica come era avvenuto del resto durante il Fascismo nei confronti di personalità illustri come Antonio Gramsci. In questo modo la politica si è consegnata mani e piedi alla magistratura politicizzata e la Legge Severino ha finito con il dare il colpo di grazia. L’immunità parlamentare era invece il giusto contrappeso nei confronti dell’indipendenza della magistratura, per evitare che a condizionare la politica potessero essere i magistrati politicizzati attraverso l’uso politico della giustizia. Ora l’eventuale abrogazione della Severino restituirebbe alla politica la dignità del proprio ruolo, considerando che oggi basta aprire un’inchiesta anche pretestuosa nei confronti di un politico per mandarlo a processo, condannarlo ed impedirgli di fare politica. Questo per ciò che riguarda i parlamentari. Poi ci sono sindaci, presidenti di regione e amministratori comunali e regionali che vengono sospesi dalla carica addirittura dopo una condanna di primo grado. Ora, come si può accettare che per un politico non possa esistere la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio come è invece previsto per qualsiasi altro cittadino?”.

Altro tema molto dibattuto riguarda i criteri di valutazione dei magistrati? Cosa cambierebbe in tal senso?

“Oggi la valutazione sulla professionalità dei magistrati è affidata  unicamente agli stessi magistrati che in pratica si valutano fra di loro. Con il Sì al referendum anche avvocati e docenti universitari in materie giuridiche potrebbero partecipare alla valutazione mettendo così fine all’autoreferenzialità della magistratura”.

La Lega è stata in prima linea nel raccogliere le firme per i referendum ma è sembrata molto poco presente in queste settimane di campagna elettorale. Come mai? 

“Temo che la Lega si sia demoralizzata quando il governo ha fissato ad un solo giorno la data del voto e oltre la fine dell’anno scolastico. Questa cosa è assurda, se si considera che fino ad oggi a causa della pandemia si è sempre votato in due giorni. Dobbiamo dedurre che il Covid non esiste più? Perché allora ci ripetono che il tasso di positività sta al 12% e Speranza insiste con l’invitare alla prudenza? Che senso ha obbligare le persone ad indossare le mascherine ai seggi per il rischio degli assembramenti, quando poi concentrando il voto in una giornata soltanto si corre proprio il rischio di favorire gli assembramenti? Mi pare evidente che la scelta di votare in un solo giorno è mirata unicamente a scoraggiare il raggiungimento del quorum. Ciò premesso va dato atto alla Lega di fare una campagna elettorale molto efficace, con l’attività del Comitato ‘Io dico Sì’, con lo sciopero della fame dell’ex ministro Calderoli e con i gazebo nelle piazze. Anche Forza Italia seppur in tono minore si sta dando da fare, così come Italia Viva, Azione di Calenda e i Radicali. Il grande handicap è purtroppo rappresentato dalla carenza di informazione che rende difficile raggiungere il quorum. Tuttavia la stragrande maggioranza degli italiani almeno nell’ultima settimana ha preso coscienza che domenica si vota, anche se non conosce nei dettagli su cosa. Io spero che in questi giorni tanti si informino e che domenica ci possa essere la sorpresa”.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Articolo precedente

Peschiera, prove tecniche di guerra etnica in Italia

Articolo successivo

Elezioni Legislative in Francia. L’ultimo scoglio per Macron 

0  0,00