Se c’è una fabbrica che in Italia lavora sempre a pieno regime, be’ questa è sicuramente la fabbrica dei complotti. L’ultima, mirabolante storia riguarda la morte atroce di Pierpaolo Pasolini. L’intellettuale degli “Scritti corsari” sarebbe stato barbaramente assassinato nientemeno che dalla banda della Magliana.
Non è però un’ipotesi un po’ inverosimile, visto che tale sodalizio criminale non era ancora stato costituito nel 1975, anno della morte del poeta? Giusto. Ma il “giallo” che in questi giorni è piombato sulle pagine dei giornali e sugli schermi televisivi è talmente arzigogolato e avvincente da far apparire questa incongruenza poco più che un trascurabile dettaglio.
Quest’ultima ipotesi sul delitto Pasolini merita di essere illustrata per due motivi. Primo perché si giova dell’autorevole sigillo della Commissione Antimafia. Secondo perché ci dimostra quali patologie intellettuali si possono produrre in un Paese, l’Italia, cui la verità sulla propria storia continua a essere negata. È tale la fame di verità che molti sono indotti a credere a tutto, soprattutto nei casi in cui il racconto si presenta in forme capaci di stimolare la curiosità di un pubblico sempre più depresso e annoiato. Ed è proprio grazie a questa diffusa (e sempre frustrata) ricerca di verità che prospera in Italia la fabbrica dei complotti.
Ma veniamo, nel dettaglio, al giallo Pasolini. L’intellettuale non sarebbe stato ucciso nel corso di un sordido incontro omosex di tipo mercenario, ma sarebbe in realtà caduto in una trappola mortale. I suoi assassini gli avrebbero dato appuntamento all’idroscalo di Ostia, per il tramite del giovane Pino Pelosi, con la promessa di restituirgli una refurtiva cui il poeta-regista teneva in modo particolare: alcune “pizze” di celluloide del suo film allora in uscita (“Salò, le 120 giornate di Sodoma”) che erano state sottratte da un deposito di Cinecittà, senza le quali la pellicola sarebbe uscita monca, come in effetti parve a molti al momento della presentazione del film (avvenuta un mese dopo la morte dell’intellettuale).
Se questa è la dinamica dell’omicidio, ne consegue che Pelosi, il quale si autoaccusò come unico responsabile del delitto, avrebbe in realtà conosciuto Pasolini ben prima della sera dell’omicidio. Il ragazzo sarebbe stato al dunque un’esca nelle mani dei veri assassini. Si sarebbe poi autoaccusato solo per paura di ritorsioni. E vale in tale senso la pena ricordare che il reo confesso fu condannato a una pena mite: 9 anni in quanto minorenne.
Gli esecutori materiali sarebbero stati a questo punto più d’uno. E si sarebbe trattato di gente proveniente dalla malavita romana: la banda della Magliana, appunto. Per aggirare l’obiezione della non esistenza, all’epoca, di tale gruppo criminale, gli autori di questa tesi precisano che si sarebbe trattato di killer provenienti dallo stesso ambiente da cui sarebbe poi scaturita la famigerata compagnia di tagliagole. Una spiegazione fumosa. Ma prendiamola per buona. La vera falla è nel movente del delitto: perché mai dei criminali, che rubano qualcosa per ottenere un riscatto, dovrebbero uccidere il proprietario di quello stesso bene trafugato che si è dimostrato disponibile alla trattativa per recuperarlo? Non ha molto senso.
È a questo punto che la teoria del complotto si rivela in tutto il suo splendore. Anche la promessa di restituzione delle “pizze” di celluloide non sarebbe che un’altra esca per attirare Pasolini nell’agguato. Il vero obiettivo è ucciderlo per chiudergli la bocca una volta per tutte. Le mefistofeliche menti che pensarono l’omicidio erano state messe in allarmare dal “profetico” articolo scritto dal poeta un anno prima sul “Corriere della Sera” e nel quale Pasolini affermava di “sapere” i nomi dei veri responsabili della stragi e dei tentativi di golpe ma di non avere le prove. I mandanti dell’omicidio avrebbero in sostanza preso sul serio una provocazione intellettuale, anche perché il poeta stava lavorando a un romanzo, “Petrolio”, nel quale si parlava del caso Mattei e ci sarebbe stato il timore che qualche carta compromettente fosse effettivamente entrata in suo possesso.
Entriamo in sostanza in quella che potremmo chiamare la “Grande Teoria del Complotto italiano”, il mega racconto dei misteri nazionali che lega insieme servizi deviati, Cia, mafia, P2 e banda della Magliana. È la storia occulta d’Italia, le cui chiavi sono probabilmente in archivi all’estero. Legittimo cercare svelare questa storia.
Ma farvi entrare anche la morte di Pasolini è cosa che suscita più di qualche dubbio. Perché non accettare la banalità di una morte in circostanze sordide? Evidentemente, per molti, è come sminuire la statura di un poeta che rimane uno dei più grandi intellettuali italiani della seconda metà del Novecento. Complotto o non complotto.