Tecnologia, quella diversa visione fra Francesco e Benedetto

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La tecnologia e l’intelligenza artificiale sono buone cose oppure sono strumenti pericolosi per il futuro dell’umanità?

Un tema che sta interessando anche le religioni, come dimostra l’incontro che si è svolto nei giorni scorsi in Vaticano con i rappresentanti dell’ebraismo e del mondo islamico intorno al documento “Rome Call for A.I. Ethics”, voluto dalla Pontificia Accademia per la Vita e curato dalla Fondazione RenAIssance.

I rappresentanti delle tre religioni abramitiche hanno sottoscritto il documento, che è stato già firmato anche da Brad Smith, presidente di Microsoft, Dario Gil, vice presidente globale di Ibm, e dalla Fao attraverso il suo capo economista Maximo Torero Cullen. Il documento è stato redatto per promuovere l’algoretica, cioè lo sviluppo di una riflessione etica sull’intelligenza artificiale e le sue applicazioni. Per la Chiesa lo ha firmato monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita.

Papa Francesco ha incontrato i firmatari e ha voluto dire la sua sul progresso tecnologico: “E’ necessario vigiliare ed operare – ha detto il pontefice – affinché non attecchisca l’uso discriminatorio di questi strumenti a spese dei più fragili e a spese degli esclusi. Ricordiamoci sempre che il modo con cui trattiamo l’ultimo e il meno considerato tra i nostri fratelli e sorelle dice il valore che riconosciamo all’essere umano. Si può fare l’esempio delle domande dei richiedenti asilo: non è accettabile che la decisione sulla vita e il destino di un essere umano vanga affidata ad un algoritmo”.

E poi ancora, rivolto ai rappresentanti delle altre religioni: “La vostra concordia nel promuovere una cultura che ponga questa tecnologia al servizio del bene comune di tutti e della custodia della casa comune è esemplare per tanti altri. La fraternità tra tutti è la condizione perché anche lo sviluppo tecnologico sia al servizio della giustizia e della pace ovunque nel mondo”.

“La constatazione che l’intelligenza artificiale sia sempre più presente in ogni aspetto della vita quotidiana, sia personale che sociale – ha detto ancora Francesco – che essa incide sul nostro modo di comprendere il mondo e noi stessi e che le innovazioni in questo campo fanno sì che tali strumenti siano sempre più decisivi nell’attività e perfino nelle decisioni umane, indica la necessità che cresca la algoretica, ossia la riflessione etica sull’uso degli algoritmi, affinché sia sempre più presente, oltre che nel dibattito pubblico, anche nello sviluppo delle soluzioni tecniche”. 

Ma a scatenare il dibattito è stato un tweet del papa dove si legge: “La firma congiunta della Rome Call for A.I. Ethics da parte dei cattolici, ebrei e musulmani, è un segno di speranza. Le religioni accompagnano l’umanità nello sviluppo di una tecnologia centrata sull’uomo grazie alla riflessione etica condivisa sull’uso degli algoritmi”.

E naturalmente c’è chi non l’ha presa affatto bene, perché per quanto sia giusto richiamare il valore dell’etica nello sviluppo delle moderne tecnologie, è sembrato arrivare da parte del papa un sostanziale via libera all’intelligenza artificiale. Come se ormai si tratti di un processo irreversibile e compito della Chiesa sia soltanto quello di sollecitare un controllo di tipo etico. Insomma, per molti sarebbe la prova provata di come ormai anche la Chiesa sia sempre più funzionale agli interessi del globalismo planetario. Un’accusa che aveva investito papa Francesco anche in piena pandemia, quando la Chiesa si è in pratica allineata alla propaganda mainstream promuovendo i vaccini e le politiche intraprese a livello mondiale.

E’ infatti sempre più evidente come le tecnologie moderne siano state fino ad oggi utilizzate per scopi non propriamente etici, e in certi casi per andare proprio contro quelli che sono i valori etici fondamentali, fino a manipolare la vita umana e a sostituire le attività proprie dell’uomo con l’automazione. E il fatto che i colossi della tecnologia abbiano firmato quel documento, sembra a molti una colossale presa in giro. Nessuno mette in dubbio la bontà dell’iniziativa, ma forse è il caso di iniziare a contrastare certe pericolose derive anziché favorirle. O davvero vogliamo far guidare il mondo dagli algoritmi e ridurre l’uomo ad essere schiavo della tecnologia, annichilendo la sua capacità di pensare e di agire al di fuori di un pensiero unico dominante?

Benedetto XVI a tal proposito aveva un’idea radicalmente diversa. Ecco infatti cosa diceva a proposito della tecnologia: “”L’uomo non può riporre nella scienza e nella tecnologia una fiducia così radicale e incondizionata da credere che il progresso scientifico e tecnologico possa spiegare ogni cosa e appagare completamente i suoi bisogni esistenziali e spirituali. La scienza non può sostituire la filosofia e la rivelazione nel dare una risposta esaustiva alle questioni più radicali sull’uomo: quelle sul significato del vivere e del morire, sui valori ultimi, sulla natura stessa del progresso”. E stiamo parlando di un papa che non ha mai condannato l’utilizzo dei social, anzi ne ha sempre evidenziato le potenzialità attraverso un uso consapevole e responsabile.

Nell’Enciclica Caritas in veritate, Ratzinger spiegava: “Lo sviluppo tecnologico può indurre l’idea dell’autosufficienza della tecnica stessa quando l’uomo, interrogandosi solo sul come, non considera i tanti perché dai quali è spinto ad agire. È per questo che la tecnica assume un volto ambiguo. Nata dalla creatività umana quale strumento della libertà della persona, essa può essere intesa come elemento di libertà assoluta, quella libertà che vuole prescindere dai limiti che le cose portano in sé. Il processo di globalizzazione potrebbe sostituire le ideologie con la tecnica, divenuta essa stessa un potere ideologico, che esporrebbe l’umanità al rischio di trovarsi rinchiusa dentro un a priori dal quale non potrebbe uscire per incontrare l’essere e la verità. In tal caso, noi tutti conosceremmo, valuteremmo e decideremmo le situazioni della nostra vita dall’interno di un orizzonte culturale tecnocratico, a cui apparterremmo strutturalmente, senza mai poter trovare un senso che non sia da noi prodotto. Ma la libertà umana è propriamente se stessa solo quando risponde al fascino della tecnica con decisioni che siano frutto di responsabilità morale. Di qui, l’urgenza di una formazione alla responsabilità etica nell’uso della tecnica. A partire dal fascino che la tecnica esercita sull’essere umano, si deve recuperare il senso vero della libertà, che non consiste nell’ebbrezza di una totale autonomia, ma nella risposta all’appello dell’essere, a cominciare dall’essere che siamo noi stessi”.

E profeticamente annunciava: “Lo sviluppo non sarà mai garantito compiutamente da forze in qualche misura automatiche e impersonali, siano esse quelle del mercato o quelle della politica internazionale. Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello del bene comune. Sono necessarie sia la preparazione professionale sia la coerenza morale. Quando prevale l’assolutizzazione della tecnica si realizza una confusione fra fini e mezzi, l’imprenditore considererà come unico criterio d’azione il massimo profitto della produzione; il politico, il consolidamento del potere; lo scienziato, il risultato delle sue scoperte. Accade così che, spesso, sotto la rete dei rapporti economici, finanziari o politici, permangono incomprensioni, disagi e ingiustizie; i flussi delle conoscenze tecniche si moltiplicano, ma a beneficio dei loro proprietari, mentre la situazione reale delle popolazioni che vivono sotto e quasi sempre all’oscuro di questi flussi rimane immutata, senza reali possibilità di emancipazione”.

Benedetto poi evidenziava come il progresso tecnologico senza alcun collegamento con la fede fosse pericoloso per il futuro stesso dell’umanità: “Campo primario e cruciale della lotta culturale tra l’assolutismo della tecnicità e la responsabilità morale dell’uomo è oggi quello della bioetica, in cui si gioca radicalmente la possibilità stessa di uno sviluppo umano integrale. Si tratta di un ambito delicatissimo e decisivo, in cui emerge con drammatica forza la questione fondamentale: se l’uomo si sia prodotto da se stesso o se egli dipenda da Dio. Le scoperte scientifiche in questo campo e le possibilità di intervento tecnico sembrano talmente avanzate da imporre la scelta tra le due razionalità: quella della ragione aperta alla trascendenza o quella della ragione chiusa nell’immanenza. Si è di fronte a un aut aut decisivo. La razionalità del fare tecnico centrato su se stesso si dimostra però irrazionale, perché comporta un rifiuto deciso del senso e del valore. Non a caso la chiusura alla trascendenza si scontra con la difficoltà a pensare come dal nulla sia scaturito l’essere e come dal caso sia nata l’intelligenza. Di fronte a questi drammatici problemi, ragione e fede si aiutano a vicenda. Solo assieme salveranno l’uomo. Attratta dal puro fare tecnico, la ragione senza la fede è destinata a perdersi nell’illusione della propria onnipotenza. La fede senza la ragione, rischia l’estraniamento dalla vita concreta delle persone”.

Senza voler fare parallelismi fra Benedetto XVI e Francesco, appare evidente che l’approccio scelto dalla Chiesa di oggi rischia di apparire arrendevole rispetto ad una tecnologia sempre più invasiva e rivolta contro l’umanità. E quando il mondo sarà governato dagli algoritmi e i robot avranno sostituito l’uomo nei processi economici e produttivi, quale spazio si può pensare di riservare all’etica?

 

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