«Una persona viene dimenticata soltanto quando viene dimenticato il suo nome», ricorda il Talmud, uno dei testi sacri dell’ebraismo». Anche per questo insieme alle foto, ai siti dell’orrore, agli oggetti personali dei deportati, alle testimonianze drammatiche degli ultimi sopravvissuti all’Olocausto, sono spuntate le pietre d’inciampo, piccoli blocchi di pietra ricoperti di ottone, posti davanti all’edificio in cui visse, o lavorò, uno dei milioni di deportati nei campi nazisti che non fecero più ritorno a casa. Essi ne ricordano il nome, l’anno di nascita, il giorno dell’arresto, il luogo della deportazione e la data della morte. La prima pietra d’inciampo fu posata a Colonia, in Germania, nel 1995, su iniziativa dell’artista Gunter Demnig: una reazione a negazionismo e oblio, per ricordare tutte le vittime del nazifascismo, qualunque fosse il motivo della loro persecuzione, religione, “razza”, idee politiche o orientamento sessuale. Da quella iniziativa è nato un monumentale progetto europeo, che ha portato alla posa di oltre 80mila pietre d’inciampo.
In Italia, nel 2016 è nato il Comitato per le Pietre d’Inciampo-Milano per rafforzare una memoria comune delle persecuzioni nazi-fasciste. Il comitato si è subito prefissato di mantenere un equilibrio nella scelta delle persone a cui dedicare altre pietre tra le vittime della deportazione politica e di quella “razziale”, che ha caratterizzato gli eventi del capoluogo lombardo. Dal 2017 a settembre 2021, ne erano state posate 121.
Con la volontà di mutuare il ricordo di tutti i deportati, il fotografo Emanuele Ferrari ha allestito la mostra “Una pietra, uno sguardo, una storia” dedicata alle pietre d’inciampo, che sarà inaugurata sabato 28 gennaio nella biblioteca Passerini-Landi di Piacenza. Per l’occasione, il gruppo teatrale “Quarta Parete” leggerà alcune testimonianze di familiari delle vittime.
Ferrari ha individuato dodici pietre d’inciampo, ritraendo a fianco i famigliari delle vittime. Gli scatti vogliono rafforzare il significato e il valore della testimonianza costituita dalla pietra d’inciampo, provando, allo stesso tempo, a restituire gli stati d’animo delle persone private dei propri cari. Gli incontri con i famigliari sono stati spesso emozionanti. Una parte di essi ha rilasciato brevi interviste, che includevano ricordi e riflessioni. L’autore ha ripreso alcuni di questi pensieri e li ha resi leggibili attraverso dei codici QR posti a fianco delle didascalie. È così possibile approfondire il ricordo leggendo anche le storie dei deportati.
L’immagine di destra è costituita dal ritratto del famigliare, scattata all’esterno del binario 21, la zona della Stazione Centrale di Milano, al di sotto dell’area passeggeri, solitamente adibita al carico e allo scarico della posta e che, fra la fine del 1943 e i primi del 1945, fu impiegata per la deportazione. Sullo sfondo ci sono sempre la strada e la ferrovia sovrastante, che, per tanti, hanno costituito il punto di distacco dai propri cari e dalla città e vogliono rappresentare il richiamo concettuale a quello che il binario 21 rappresenta. A fianco del ritratto, come detto, è posto un codice QR per mezzo del quale è possibile leggere le storie, spesso incredibili, dei deportati, riprese dal sito pietredinciampo.eu.
La conoscenza dei fatti accaduti ha un’importanza fondamentale e il percorso visivo di Ferrari conduce lo spettatore a questo passaggio conclusivo. La mostra sarà visitabile fino a sabato 25 febbraio.