Francesco contro i partiti nella Chiesa: con chi ce l’ha il papa

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“Credo che la morte di Benedetto sia stata strumentalizzata da gente che vuole portare acqua al proprio mulino. E quelli che strumentalizzano una persona così brava, così di Dio, quasi direi un santo padre della Chiesa, direi che è gente non etica, è gente di partito non di Chiesa… si vede in ogni parte, la tendenza a fare di posizioni teologiche dei partiti. Queste cose cadranno da sole, o se non cadranno andranno avanti come tante volte è accaduto nella storia della Chiesa”.

Sono le parole pronunciate da papa Francesco durante il suo viaggio di ritorno dal Sud Sudan nell’ambito delle tradizionali conferenze stampa che il pontefice tiene in volo. Non poteva ovviamente mancare un accenno alle polemiche seguite alla scomparsa di Benedetto XVI e alle notizie di malumori del Papa emerito nei confronti del suo successore. Non soltanto Francesco nega di aver avuto contrasti con lui, ma conferma di averlo spesso consultato e di aver sempre ricevuto da lui consigli, mai critiche.

Ma al di là di questo, non è passato inosservato il riferimento alla “gente di partito” ovvero a coloro che hanno sollevato critiche al pontefice proprio dopo la scomparsa di Ratzinger. Come se Benedetto XVI avesse fatto da tappo in questi anni all’esplodere di una vera e propria guerra nei confronti del papa regnante, tappo che adesso, essendo venuto a mancare, ha consentito al malcontento di venire alla luce in tutta evidenza.

Ma con chi ce l’ha papa Francesco? Ovviamente nomi non ne ha fatti, ma gli indiziati possono essere davvero tanti.

Sicuramente il numero uno è l’ex segretario particolare di Ratzinger monsignor Georg Gänswein, che è stato il primo ad accendere la miccia, rivelando a poche ore dalla morte di Benedetto come l’Emerito avesse sofferto molto per il motu proprio Traditionis Custodes con cui Bergoglio ha impresso una drastica stretta sulla messa in latino, che di fatto cancellava il Summorum Pontificum del predecessore. Poi, dopo poco più di una settimana, ecco uscire il libro di Gänswein intitolato “Nient’Altro che la Verità” scritto con Saverio Gaeta, dove si racconta di un Benedetto tutt’altro che favorevole alla politica del suo successore e anzi molto deluso per non essere da questi tenuto in grande considerazione.

Come se non bastasse, ecco che a distanza di pochi giorni è uscito un secondo libro, scritto dall’ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede Gerhard Ludwig Müller insieme alla giornalista Franca Giansoldati, intitolato “In Buona Fede”, in cui senza mezzi termini attacca pesantemente il pontificato bergogliano. Molti hanno letto nel libro del cardinale tedesco una sorta di manifesto elettorale dei conservatori in vista di un prossimo conclave. “Vi è una sorta di cerchio magico che gravita attorno a Santa Marta formato da persone che, a mio parere, non sono preparate dal punto di vista teologico“, attacca Müller secondo il quale “in Vaticano sembra che ormai le informazioni circolino in modo parallelo, da una parte sono attivi i canali istituzionali purtroppo sempre meno consultati dal Pontefice, e dall’altra quelli personali utilizzati persino per le nomine dei vescovi o dei cardinali”. E anche il porporato tedesco non ha mancato di evidenziare come fra il papa regnante e l’emerito i rapporti fossero tutt’altro che idilliaci. 

Ma non è tutto: pochi giorni dopo la morte di Benedetto XVI sono uscite queste dichiarazioni del cardinale Robert Sarah, autore dei libri in cui il prelato guineano difende la dottrina della Chiesa dai tentativi riformatori bergogliani. Sarah rivela di Razinger: “Gli ho portato i miei libri. Li ha letti e ha espresso il suo apprezzamento. Anzi, è stato così gentile da scrivere la prefazione di “La forza del silenzio”. Ricordo il giorno in cui gli dissi che intendevo scrivere un libro sulla crisi della Chiesa. Quel giorno era stanco, ma i suoi occhi si illuminarono. Bisogna aver conosciuto lo sguardo di Benedetto XVI per capire. Era lo sguardo di un bambino, gioioso, luminoso, pieno di gentilezza e delicatezza, eppure pieno di forza e incoraggiamento. Non avrei mai scritto senza questo incoraggiamento. Poco dopo, abbiamo collaborato strettamente alla pubblicazione della nostra riflessione sul celibato sacerdotale. Conserverò nel segreto del mio cuore i dettagli di quei giorni indimenticabili. Conserverò nel profondo della mia memoria la sua profonda sofferenza e le sue lacrime, ma anche la sua feroce e intatta volontà di non cedere alla menzogna”. Una conferma indiretta di come Ratzinger guardasse con grande preoccupazione i movimenti in corso nella Chiesa da parte dei modernisti e incoraggiasse i conservatori a combattere. 

E poi ancora; sul blog del vaticanista Aldo Maria Valli è uscito un intervento di monsignor Athanasius Schneider considerato un discepolo di Ratzinger che esalta il Summorum Pontificum sulla messa in latino (che papa Francesco ha abolito) definendolo “l’atto più grande e benefico” del pontificato di Benedetto XVI per poi aggiungere: “Assistiamo ai nostri giorni nella vita della Chiesa a un processo di diluizione della fede cattolica e di adattamento allo spirito di eretici, miscredenti e apostati con il nome pretestuoso ed euforico di sinodalità e abusando dell’istituzione canonica di un sinodo. Una tale situazione è demoralizzante per tutti i veri cattolici. Quindi l’eredità di Papa Benedetto XVI che si esprime nelle parole ‘Rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere!’ e nel suo epocale Motu Proprio Summorum Pontificum rimane una luce, un incoraggiamento e una consolazione. Questo papa è stato forte nella fede, vero amante della bellezza e della fermezza incorruttibili del rito tradizionale della Santa Messa, ha dato il primato alla preghiera, alla visione soprannaturale e all’eternità. Questa eredità vincerà grazie all’intervento della Divina Provvidenza, che non abbandona mai la sua Chiesa, l’attuale enorme confusione dottrinale, l’apostasia strisciante soprattutto tra una casta mondana e incredula di teologi, che sono i nuovi scribi e tra un’apostasia strisciante di non pochi membri dell’alto clero, che sono i nuovi sadducei”. Difficile non leggere fra le righe una critica al pontificato bergogliano e una chiara volontà di mettere in evidenza come proprio l’insegnamento di Ratzinger sia il miglior antidoto per contrastare quelle che Schneider definisce “derive eretiche”.

Ma non può sfuggire che Francesco ha anche detto: “Vorrei dire che ho potuto parlare di tutto con Papa Benedetto. Anche per cambiare opinione. Lui sempre era al mio fianco, appoggiandomi, e se aveva qualche difficoltà, me la diceva e parlavamo. Non c’erano problemi”. Un messaggio che suona come un gesto di distensione nei confronti degli stessi conservatori, un invito al dialogo facendo capire loro che lui è anche disponibile a cambiare idea se necessario.

Una cosa è certa: che nella Chiesa sia in atto una guerra strisciante fra conservatori e progressisti (ma sarebbe più appropriato parlare di modernisti) è un dato di fatto, e la morte di Ratzinger come avevamo preannunciato ha lasciato i primi sprovvisti di una guida forte ed autorevole imponendo loro la necessità di rinserrare le fila. Un capo che comunque la si pensi, seppur fuori dalla mischia, in qualche modo era in grado di garantire un equilibrio, anche mediando se necessario, come lo stesso Francesco sembrerebbe confermare nelle sue dichiarazioni. Adesso questo equilibrio è venuto meno e sono bastati pochi giorni dalla morte del Papa emerito per averne la prova. E che ormai esistano due partiti contrapposti in lotta fra loro è sotto gli occhi di tutti. Ma forse Francesco sbaglia la sua analisi nel voler focalizzare il problema soltanto da una parte, ovvero nel fronte conservatore orfano di Benedetto.

La vera guerra l’hanno cominciata i modernisti e sta tutta nel tentativo di cambiare il volto della Chiesa, sradicando la tradizione e imponendo una sinodalità che sembra piuttosto un tentativo di luteranizzare il cattolicesimo. E la guerra di papa Francesco alla messa in latino da questo punto di vista, è stato un clamoroso passo falso. Un contentino forse offerto ai modernisti per placare la loro sete di riforme ai limiti dell’eresia, è diventato agli occhi dei conservatori il pretesto per lottare nel nome e nel segno di papa Benedetto.

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