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Romeo Castellucci porta in scena BROS al Teatro Argentina

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Romeo Castellucci, uno dei più autorevoli artisti del teatro contemporaneo, porta al Teatro Argentina dal 9 al 12 marzoBros, una riflessione sul nostro rapporto con la Legge, la responsabilità individuale e collettiva, osservando un gruppo di uomini anonimi in divisa da poliziotto. I protagonisti, reclutati per andare in scena senza prima avere imparato la parte, ricevono ordini, in tempo reale, tramite un auricolare agendo senza pensare: la loro coscienza si ferma per sperimentare l’esperienza dell’alienazione governata da una dittatura invisibile.

Una potente allegoria sulla violenza e le degenerazioni del potere messa in scena attraverso azioni quotidiane, movimenti e interazioni dominati dalla tirannia dell’ordine, che rende estranianti anche i gesti più semplici. Gli attori che abitano questa scena sono uomini anonimi che, attraverso una chiamata pubblica, ne diventano protagonisti assoluti pur essendone all’oscuro e imparando la parte mentre la assumono. Tale esecuzione corrisponde allo svolgimento di ordini telecomandati. Ciascuno di loro, per poter partecipare alla rappresentazione, firma un indice comportamentale a cui promette di attenersi fedelmente. Nelle regole sono indicati i doveri di “attore”, e anche dopo la firma gli “attori” rimarranno all’oscuro dello spettacolo.

A pochi minuti dall’inizio dello spettacolo a ciascuno “attore” è consegnata una divisa da poliziotto e un dispositivo auricolare. All’apertura del sipario gli “attori” eseguiranno scrupolosamente gli ordini impartiti loro per via auricolare: ciascun poliziotto apprende in tempo reale i comandi e ciascuna azione è compiuta nel tempo determinato dall’ordine. La matrice dei comandi rimane fuori scena, invisibile agli spettatori. Un impegno che devono essere in grado di condurre fino in fondo. La coscienza si ferma qui. Poi comincia l’esperienza dell’alienazione, in cui eseguiranno azioni senza capire, né prepararsi. Questa condizione, lungi dall’essere un’improvvisazione costruttiva o una delega allo spontaneismo, schiaccia il tempo della consapevolezza fino al suo grado zero.

«È un paradigma di velocità massima che brucia ogni interstizio critico. Sembra coincidere con una forma di ‘abbandono’, un votarsi, un annullarsi nella parte. Una parte che gli Attori non conoscono. Appaiono gesti intimi, a vederli dall’esterno, e lo sono, ma noi sappiamo anche che sono gesti ‘intimati’, in una oscura confusione tra intimità e intimazione; in una frenesia che non lascia spazio al ripensamento – annota Romeo Castellucci – ciò che si vede è un mucchio di azioni che si declinano in dinamiche di saturazione e svotamento del palcoscenico, fino a riempire e spogliare il mondo. Si tratta di azioni semplici, quotidiane, forse eccentriche perché fuori contesto, ma ben riconoscibili ed eseguite individualmente. Vi è una prepotenza dell’azione rispetto al pensiero, il quale non sembra avere alcuna importanza qui; il pensiero abdica al suo ruolo di causa che genera azioni, e pure a quello di giudice delle azioni appena compiute. Tutti sanno esattamente cosa fare, ma questa veduta, che si apre come da una terrazza sporgente su una piazza, suscita la domanda: chi sono? cosa fanno? dove vanno? E ci accorgiamo che, nel loro essere individui, sono, in realtà, simili, anzi somiglianti. Sono fratelli. O forse la moltiplicazione allucinata di una stessa persona che, nel medesimo tempo, condensa centinaia di azioni differite. Non decisioni. Ma esecuzioni. In un tempo strozzato.

A rafforzare la somiglianza la comune uniforme che indossano. È la divisa tipica da poliziotto del cinema americano. Muto e comico. Tale iconografia è lì per convocare la Legge che prepara e innesca il dispositivo del disastro. Il comico come hard-core della Legge. La potenza del comico come congegno fondato sul basso materialismo del corpo e sul disordine curva l’accadere in una dimensione oscura e perturbante. Il poliziotto, che ha il compito di far rispettare la Legge, qui è vettore di una Legge che si trasforma puntualmente in farsa. Alle presenze di questi Attori è chiesto di incarnare una qualità scenica che vive nell’istantaneità di compimento dell’azione; che taglia fuori ogni psicologia meditata per far spazio alla verità dell’esperienza, perché ciò che conta, qui, è l’immediata incorporazione della risposta e non l’improvvisazione smaliziata di chi conosce il mestiere. Bros costringe insieme le parole ridotte a comandi con il linguaggio muto delle immagini e con le parole emblematiche dei motti. Sul palcoscenico si formano situazioni insolite e paradigmatiche. In esse si specchia il doppio e triplo-fondo dell’apparenza; il versante tenebroso della logica; l’inconsistenza delle certezze… Le immagini mentali prendono il sopravvento nello spazio in totale sincretismo, per approdare a un nuovo effettivo linguaggio: enigmatico, arcano, formato da figure che rimandano sempre a qualcos’altro, alla stregua di geroglifici. L’attore è spettatore egli stesso di quanto viene facendo. Il nodo tra attore e spettatore si stringe così fino a soffocare ogni distinzione. La recita coincide con la vita che accade in quel esatto momento. La parte non è più da preparare, solo da verificare. Nessuna improvvisazione, bensì il baratro di un presente assoluto».

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