A due giorni dal Congresso Cgil, ciò che ha acquisito maggiore risonanza mediatica è senz’altro la questione attorno al salario minimo. A Rimini la Meloni è stata chiara, esplicando il suo dissenso per l’introduzione del salario minimo legale, come vorrebbe il M5S di Conte.
Allo stesso modo anche la Schlein, durante la seconda giornata dei lavori del Congresso ha dichiarato di essere pronta a battersi “per un salario minimo perché sotto una certa soglia davvero non si può parlare di lavoro perché è sfruttamento”.
In questo senso il sindacato guidato da Landini vuole favorire una legge sulla rappresentanza dove i contratti devono avere validità generale, erga omnes. Solo all’interno questo schema il sindacato si dichiara disponibile a fissare una soglia di salario.
È evidente come la questione si strutturi come una vera e propria battaglia portata avanti dalle opposizioni. Sarebbe auspicabile, in questo senso, individuare una direzione pressoché unitaria, ma a seguito delle vicende di Rimini quest’opzione sembra quasi utopistica.
Difatti la premier ha parlato degli obiettivi dell’esecutivo e sulla modalità per raggiungerli, ribadendo che il salario minimo non è la soluzione per aumentare gli stipendi. Piuttosto, il governo intende perseguire la strada della crescita economica mettendo aziende e lavoratori nella condizione di generare ricchezza.
Secondo la Meloni, dato che gli stipendi italiani sono gli unici ad essere più bassi rispetto agli anni 90, serve assolutamente puntare tutto sulla crescita economica. Allo stesso modo i sostenitori del salario minimo sembrano non desistere, fermi sulla loro posizione. Come al solito però, non mancano le contraddizioni.
Difatti nonostante oggi Landini abbia deciso di parlare in questi termini, è necessario non dimenticare le dichiarazioni rilasciate non troppo tempo fa. In questo senso nel 2021 Landini, al termine di un incontro a Palazzo Chigi, dichiarò che il salario minimo non era da collocare tra le priorità del tema del lavoro.
Inoltre nel 2019 Cgil, Cisl e Uil, in un’audizione alla Commissione lavoro del Senato, dichiararono la loro contrarietà all’istituzione di un salario minimo orario in Italia perché “potrebbe favorire la fuoriuscita dai contratti nazionali, diventando uno strumento per abbassare salari e tutele dei lavoratori”.
È quindi evidente che il dibattito politico sul tema del lavoro è fortemente accesso e oggi più che mai appare ostile alla via del dialogo.