Conte parla in aula del “delitto Andreotti”? Galeotta fu l’assonanza con Matteotti, al quale, il buon “Giuseppi”, si voleva chiaramente riferire. Ma, alla fine, il capo del M5S si può consolare al pensiero che questa gaffe in materia di storia lo renderà probabilmente più popolare tra la gente, vista l’ampia proliferazione di asini che affligge la nostra società.
Poi nessuno dubita che Conte conosca la differenza tra Giulio Andreotti e Giacomo Matteotti. Però va aggiunto che la conoscenza della storia non deve essere comunque il suo forte. Basterà ricordare un’altra (e ben più grave) gaffe commessa dal leader M5S ai tempi in cui presiedeva il governo gialloverde. Riferendosi all’8 settembre del 1943 in occasione della Festa del Levante del 2018, Conte definì tale giorno una «data particolarmente simbolica della storia patria perché pose fine a un periodo buio e diede inizio a un periodo di ricostruzione prima morale e poi materiale, il miracolo economico». Aiuto! È evidente che l’allora premier voleva riferirsi al 25 Aprile 1945 e che, il suo, non fu purtroppo un lapsus o una semplice svista, ma il frutto di una incerta conoscenza storica: l’8 settembre non fu infatti l’inizio della “ricostruzione” ma il preludio della fase più crudele e sanguinosa della nostra storia, quella della guerra civile 1943-1945.
Vogliamo prendercela con gli insegnanti di Giuseppe Conte del tempo in cui il futuro premier era ancora uno studente di liceo? Certo che no, però, piaccia o non piaccia, il caso Conte rimanda alla cattiva cultura di base dei politici italiani E si tratta di un problema serio, perché senza conoscenza storica non vi può essere vera coscienza politica.
Nel caso in particolare di Conte, vale la pena sottolineare che il problema della scarsa qualità culturale dei politici italiani (un problema segnalato, è vero, da tanti anni) sia però esploso proprio quando le istituzioni rappresentative sono state occupate da personaggi provenienti dal M5S (appunto il partito di “Giuseppi”), un personale politico che è apparso subito estemporaneo e improvvisato. Sarebbe facile riferirsi agli improbabili congiuntivi di Luigi di Maio (che fu il volto rappresentativo del M5S prima di Conte), ma il caso emblematico è quello del giovane deputato pentastellato Davide Tripiedi, che così esordì nell’aula di Montecitorio durante un suo intervento del 2018: «Sarò breve, anzi circonciso». Forse pensava che “circonciso” fosse una variante elegante di “conciso”, o forse era un po’emozionato, aveva cioè il “paté”… d’animo, come da un celebre sfondone, passato alla storia, commesso da un parlamentare degli anni Sessanta.
Certo, gli strafalcioni dei politici si sprecavano anche nella Prima repubblica, ma erano perlopiù dettati dagli eccessi retorici del tempo, dal desiderio cioè di inseguire un tipo di eloquio ampolloso e barocco, cosa che esponeva sempre l’oratore al rischio dell’infortunio verbale o, se vogliamo, dell’involontaria comicità. Come quando un consigliere comunale di una cittadina umbra, durante una seduta, si rivolse in questo modo a chi lo ascoltava: «Signor Sindaco, Signora Giunta…».
Oppure poteva capitare che si confondesse la meteorologia con la sismologia. Rimase famosa questa gaffe di Claudio Martelli: «Il sismografo segna tempesta». Si riferiva al barometro. Distrazione, emozione, improvvisazione erano sempre in agguato. Oggi però dobbiamo aggiungere massicce e crescenti dosi di ignoranza e/o sciatteria
Ecco la singolare visione della storia proposta da Matteo Renzi durante una puntata di “Porta a Porta”: «Nel ‘700, ‘800 e ‘900 si occupavano militarmente altri stati. Noi ci prendevamo l’Istria, Nizza e la Savoia». Bruno Vespa, a quel punto, si permette di correggerlo e Renzi, invece di scusarsi, aggiunge gaffe a gaffe: «Vabbè, non stiamo lì a fare i precisini».
Nella Prima repubblica poteva capitare di udire Aldo Moro parlare di «convergenze parallele». Si trattò di una surreale reinvenzione della geometria, che era comunque espressione di una politica ambiziosa e colta.
Oggi ci dobbiamo invece accontentare degli improbabili riferimenti storici di Conte e Renzi, che sono a loro volta espressione di una politica piccola piccola. E tronfia.