Marco Marsullo accetta volentieri di conversare sullo scudetto del Napoli anche se in funzione “uno e bino”, cioè essere la persona sbagliata e giusta al tempo stesso. Perché è napoletano fino al midollo ed è profondamente innamorato del Milan. Marsullo, giovane e brillante scrittore, deve la sua prima notorietà al romanzo d’esordio uscito nel 2013, che ha per titolo, manco a dirlo, Atletico Minaccia Football Club storia di una sgangherata squadra di calcio di periferia, zeppa di giocatori improbabili e avanzi di galera con un allenatore “abituato a perdere e ostinato a vincere”.
Marco, da dove nasce il suo milanismo?
«Da piccolo mi innamorai di Van Basten, un fenomeno, e volevo fare l’attaccante, ma poiché ero scarsissimo mi fecero fare il difensore. Ma voglio sottolineare che Maradona è stato il più forte di sempre».
Come vive i festeggiamenti per il Napoli da milanista? Sta soffrendo la sindrome da accerchiamento?
«Ma no, mi fa solo piacere. Ho vissuto con gioia la festa della città, tutto molto coinvolgente e affascinante. Il Napoli ha dominato il campionato e non c’è mai stata storia. L’avrei vissuta diversamente se il titolo l’avesse conteso punto a punto al Milan»
Lo scudetto capovolto mostrato dagli ultrà allo stadio; Napoli campione “in” Italia; la città pazza di gioia; gli orgogli neoborbonici in libera uscita; la rivalsa storica contro gli squadroni del Nord: possiamo aggiungere ancora qualcosa, anche di retorico, per commentare questo bel successo del Napoli?
«Io vado in controtendenza. Il sentimento di rivalsa può valere se non altro perché lo scudetto è arrivato dopo 33 anni, ma in realtà il Napoli si è ripreso il suo posto da leader nel panorama nazionale calcistico. Non ha più nulla da invidiare alle squadre del Nord: rappresenta un modello societario efficiente e solido ed è un modello di gestione virtuosa. Inoltre è un club ricchissimo, investe nel mercato e vende benissimo i pezzi pregiati. Il Napoli ha acquisito una dimensione di prima grandezza e sa essere un club anche molto influente».
C’è una cosa sulla quale però siamo tutti d’accordo: lo scudetto atteso 33 anni ha scatenato la proverbiale fantasia, mista a ironia, dei napoletani: da scusate il ritardo a ricomincio da 3, fino all’autoironico «Vesuvio lavaci col fuoco». Ci spiega il sentimento napoletano partendo magari dalla sua metafora del pastello azzurro bramato dal bulletto di turno?
«A scuola, il possessore del pastello azzurro, vessato dal bulletto compagno di banco, pur di non consegnarglielo glielo spezza in faccia. Ecco la genialità del messaggio capovolto come quella del Vesuvio: “Lavaci col fuoco”. Vincere al Sud è innegabilmente diverso, a Napoli di più. Perché alla vittoria sportiva si intrecciano vicende personali, come il richiamo ai morti per i quali a Napoli c’è un culto secolare, a quelle sociali, fino all’ostentazione del retaggio storico-culturale. Non a caso durante i festeggiamenti sono stati evocati i tanti artisti della musica, del cinema, del teatro, che hanno dato lustro alla città. Per qualcuno saremo sempre quelli che vanno in tre sulla motocicletta senza casco, ma sappiano che Napoli resta la culla culturale d’Italia».
Il problema di Napoli è sempre quello di centinaia di persone che discorrono della città per sentito dire, senza averci mai messo piede?
«Sì ancora, purtroppo. Per lavoro ho viaggiato molto e ho potuto constatare che in alcune zone d’Italia hanno un’idea particolare della città, hanno paura di venire a Napoli perché immaginano cose inenarrabili. Non amo molto la retorica delle serie tv che hanno riscosso tanto successo poiché hanno rilasciato un’immagine della città a volte fallace. Ma fortunatamente la narrazione stereotipata non regge più. Lo dimostra lo straordinario fascino che la città esercita oggi sui turisti, soprattutto stranieri. Oggi arrivano in città e pretendono di infilarsi nei vicoli di Forcella o in quelli della Sanità o raggiungere il murales di Maradona nel bel mezzo dei Quartieri Spagnoli e vogliono conoscere tutto della ritualità napoletana. Socializzano con i residenti e si siedono con loro nei bassi. Fino a una decina di anni or sono sarebbe stato inimmaginabile. Certi napoletani hanno finalmente capito che i turisti sono una risorsa e non delle persone da depredare. E’ un contesto nuovo nel quale anche i cittadini napoletani sanno di potersi godere la loro città più tranquillamente».
Raiz, il cantante storico degli Almamegretta, ha dichiarato che il Napoli per i napoletani è un’armata di valori. Per lei?
«Sono d’accordo nel senso che il Napoli si intreccia con la napoletanità più autentica. Altrove non è così. Sono stato spesso a San Siro per le partite del Milan, soprattutto per i derby. Dopo i tifosi delle due squadre prendono la metro insieme per tornare a casa. Qui è diverso perché il Napoli è una passione totalizzante, che sottende l’insieme dei valori che vanno del retaggio culturale di un’antica capitale all’identificazione territoriale, fino alla rivalità sportiva con il Nord».
Tornando a qualcuna delle sue passate riflessioni, Napoli è una città ancora poco europea dove servizi e accoglienza sono carenti o è la città evoluta, che ha messo altri abiti, parla più lingue e guarda al futuro con ottimismo?
«Probabilmente la risposta è nel mezzo. Ma una Napoli che assomigli a Milano è impossibile, direi nemmeno auspicabile. Napoli come Milano o Amsterdam proprio no. Io adoro la Spagna e impazzisco per Madrid, se entri alle 19 in un locale a Madrid e chiedi di cenare ti rispondono che non si può, quindi devi accettare il compromesso e mangerai a notte fonda perché in Spagna hanno una diversa concezione della vita. E’ così anche a Napoli, devi sapere di essere in una città dalle profonde contraddizioni, grandiosa e decadente. Per questo gli aspetti folkloristici vanno accettati senza i quali la città non sarebbe un’entità unica e irripetibile ammirata nel mondo. Quella dei servizi primari, come trasporti e accoglienza, è invece una questione annosa. Non si capisce perché una metropolitana così bella e moderna ti faccia aspettare anche quindici minuti tra una corsa e l’altra. Ecco, in questo Napoli dovrebbe essere più europea».