Le migliaia di migranti che hanno preso d’assedio le coste italiane, Lampedusa in primis, sanciscono plasticamente il fallimento di tutte le possibili strategie finora ipotizzate dai governi che si sono succeduti a Palazzo Chigi: dalle prove muscolari evocate periodicamente da Capitan Salvini al permissivismo dell’accoglienza, a volte urticante, di una certa sinistra fino alle romantiche politiche di sostegno nei Paesi di provenienza di questi sventurati. Le ricette casalinghe non bastano più anche perché i paesi di provenienza non esistono più: sono collassati sotto il peso di miseria, carestia e colpi di Stato. L’immigrazione su larga scala che sta premendo a tenaglia sul Continente europeo è una questione globale, aggravata, peraltro, da una perdurante crisi economica dovuta a due anni di pandemia e all’imponderabile scoppio della guerra in Ucraina.
Lampedusa, primo lembo d’Europa, è scoppiata. I migranti hanno superato il numero dei residenti, il parroco dell’isola parla di apocalisse. Le forze dell’ordine sono allo stremo. L’Italia rischia problemi di ordine pubblico senza precedenti, mentre Francia e Germania quasi simultaneamente hanno bloccato l’accesso ai migranti dall’Italia segno che hanno compreso quanto stavolta il fenomeno sia di proporzioni insostenibili. Il peso della loro decisione è politicamente rilevante. A dieci anni dalla strage di Lampedusa, che provocò la morte di 368 migranti, Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo, apprende amaramente che non è stato fatto abbastanza. L’Europa, dunque, è nuda. Si è scoperta fragile, inadeguata, litigiosa ed egoista. Un gigante dai piedi d’argilla. Non solo. Incombono le elezioni europee e ogni paese membro è attento a percepire gli inquieti umori delle proprie opinioni pubbliche.
Quanto sta accadendo è causa diretta della destabilizzazione di paesi nordafricani come Libia e Tunisia, ma anche la magmatica situazione nella fascia subsahariana del Sahel sulla quale sembrano soffiare con un certo interesse Cina, Russia e Turchia, già presenti con nutriti contingenti militari. Senza dimenticare che il devastante passaggio del ciclone Daniel sulla Cirenaica, responsabile di 7mila morti, 10mila dispersi e di circa 90mila sfollati, provocherà a giorni l’ennesima catastrofe umanitaria.
Da qui la necessità di avviare una conferenza internazionale che veda protagonisti anche l’Onu e il G20. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani è convinto che “globalizzare” la strategia d’intervento sia inevitabile. S’impone una grande conferenza internazionale che avvii il processo di stabilizzazione del Sahel perché al momento da questi Paesi arriva un flusso incontenibile verso il nord del continente, in particolare verso la Tunisia per sbarcare in Italia e poi dalla Penisola raggiungere altri Paesi. Ma la prima accoglienza dei migranti irregolari pesa tutta sulle spalle del governo italiano. E i costi sono enormi.
A bocce ferme andrebbe riconsiderato il Trattato di Dublino firmato nel 1990, che disciplina il sistema dell’accoglienza e delle richieste d’asilo nell’Unione europea e che stabilisce che sia lo stato di primo approdo del migrante, quasi sempre l’Italia, ad affrontare a tutto il sistema di accoglienza compresa la domanda di asilo. Va da sé che più di trent’anni fa il numero degli sbarchi non era paragonabili a quello odierno. E’ uno strumento quindi anacronistico e inefficace così come sembra già superato il recente memorandum tra Italia, Unione europea e Tunisia del 16 luglio per la gestione delle frontiere. Nonostante il lodevole impegno dei protagonisti, non funziona.
Secondo Frontex, è aumentato del 18 per cento il numero di stranieri coinvolti in attraversamenti irregolari delle frontiere nei primi otto mesi del 2023 raggiungendo quota 232.350. Si tratta, aggiunge l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, del «totale più alto per il periodo gennaio-agosto dal 2016. L’aumento e stato principalmente guidato dal numero di arrivi nel Mediterraneo centrale. Il numero di attraversamenti irregolari su questa rotta è raddoppiato».
Ora, in attesa che l’attività diplomatica delle cancellerie europee, soprattutto quella italiana già sotto pressione di suo, dispieghi i primi effetti positivi, il governo di Giorgia Meloni si trova nel bel mezzo del guado, tra distensione e pugno puro. Sarà il caso in questa delicatissima fase storica di domare pulsioni e rancori e rimettersi a tessere le tela affinché il sistema europeo dei ricollocamenti riprenda a funzionare.