Buona la terza: con 179 voti a favore e 171 contrari, il Parlamento spagnolo ha concesso la fiducia a Pedro Sanchez; e pure se con una contabilità risicatissima il leader socialista sarà nuovamente premier. Valutiamo subito gli effetti di questa svolta.
Domanda: fino a che punto una monarchia costituzionale (e federale), può limitarsi a certificare, a prendere atto unicamente dei soli numeri parlamentari, anche se stravolgono, smentiscono il mandato popolare?
E’ questo uno dei problemi irrisolti delle democrazie liberali classiche o moderne che siano (ne sa qualcosa lo stesso Vittorio Emanuele III, quando nel 1922 non firmò lo stadio d’assedio di Facta, legittimando di fatto il fascismo, anche per mancanza di alternative concrete). In una parola, o il suicidio della democrazia, o molto spesso il suicidio storico delle Corone.
Ciò che sta accadendo in Spagna, infatti, è molto pericoloso. E tutti i diretti interessati stanno giocando una partita estremamente delicata. Rischiando di finire male. La speranza è che il re Filippo VI abbia preteso delle precise garanzie da Sanchez, in ordine all’amnistia e al caso-Catalogna in generale. Altrimenti per il paese iberico si prospetteranno momenti bui, di grossa divisione e lacerazione sociale e popolare.
Ricostruiamo. Alle scorse elezioni di luglio ha vinto il Partito popolare (centro-destra) di Alberto Nunez Feijoo, ma nonostante l’alleanza con la destra di Vox, non è riuscito a ottenere la maggioranza parlamentare. Ossia, i numeri sufficienti per varare il governo. Un tema ricorrente in Spagna e non solo. Ecco perché fa bene la Meloni, con la sua proposta di premierato, ad associare al primo arrivato un premio di seggi tali da garantire la governabilità e quindi, la stabilità istituzionale.
Ma così non è stato a Madrid e la palla è passata, come noto, al secondo arrivato, che ieri è riuscito a partire con un esecutivo di sinistra molto radicale (grazie all’accordo di coalizione con la piattaforma di sinistra Sumar, con i catalani di ERC e Junts, con i baschi del PNV e EH Bildu, con i galiziani di BNG e con CC, i nazionalisti della Canarie). Un fritto misto estremista che renderà la politica spagnola molto conflittuale. Dove si sovrapporranno derive autonomiste ed ideologiche (ultra-laiciste).
Altra domanda: che atteggiamento assumerà la monarchia spagnola di fronte a partiti che apertamente lavorano e lavoreranno da domani per usurarla e svuotarla, avendo come obiettivo, per loro stessa ammissione la repubblica, come Podemos e Izquierda Republicana? E come riuscirà il nuovo premier a gestirli, controllarli, ammorbidirli, ammesso che il patto costituzionale del ’78 regga e, in qualsiasi caso, per quanto?
E ancora: da settimane in piazza è scesa l’altra Spagna (di destra), che grida al golpe. Da giorni si susseguono incidenti con le forze dell’Ordine. Manifestazioni imponenti che prefigurano un clima da nuova guerra civile.
E aspetto inquietante, in molti striscioni, si vede bene, i manifestanti hanno tagliato la corona nella bandiera nazionale.
Bruttissimo segno: evidentemente ritengono Felipe VI, debole rispetto ai “sovversivi”, che adesso saranno amnistiati con massimo piacere per Carles Puigdemont, il quale tornerà in patria da eroe e certamente non si accontenterà di un semplice cancellino rispetto al passato e allo scontro che ha avuto col re, che lo ha accusato di slealtà istituzionale. Sicuramente ripartirà daccapo, sul piano demagogico ed eversivo, e col nuovo referendum (consultivo),strappato a Sanchez sull’autonomia della Catalogna, riaccenderà la miccia dell’indipendenza, ricreando le condizioni di nuovi sommovimenti sociali e di una nuova fragilità istituzionale. Per non parlare del certo scontro con altri poteri dello Stato (la magistratura che lo ha condannato).
Insomma, la monarchia in mezzo tra due fuochi, potrebbe passare momenti cruenti e la riverniciatura ottenuta col successo mediatico del giuramento della principessa Leonor, potrebbe avere respiro corto.
A proposito di amnistia: c’è un precedente negativo, tossico. Umberto II la concesse su sollecitazione del ministro della giustizia, il comunista Togliatti, prima del referendum del 1946, e i fascisti “sdoganati” dal Luogotenente e dalla sinistra, votarono per la Repubblica che vinse, pur tra brogli mai chiariti.
E come sappiamo, “historia magistra vitae est”.