Pd, Geloni a Polito: “Hai dimenticato l’errore Blair e le colpe di Renzi”

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“La sinistra che ignora i deboli”. Questo il titolo di un’editoriale pubblicato da Il Corriere della Sera e firmato da Antonio Polito. Un’analisi lucida ma senza sconti sulle cause che hanno portato alla crisi della sinistra in Italia e alla disfatta del Pd alle elezioni del 4 marzo. Interviene su Lo Speciale la giornalista Chiara Geloni, responsabile del sito web di Articolo 1 – Mdp e politologa.

Polito scrive: “La sinistra italiana, di origine marxista, approdò con troppo ritardo al tentativo di trasformarsi in una sinistra liberale, più protesa alla creazione di ricchezza che alla sua distribuzione, sulla scia del successo di Clinton negli Usa e di Blair in Europa”. E’ davvero così?

“Leggo sempre con interesse i pezzi di Antonio Polito anche se nella sua analisi qualcosa non mi trova d’accordo. Il problema a mio giudizio non è dato dal fatto di essere arrivati in ritardo rispetto a Clinton e Blair nella costruzione di una sinistra di stampo liberale. L’errore è stato invece quello di aver ripristinato Blair fuori tempo massimo, quando quel ciclo si era esaurito. Serviva invece una risposta diversa, nel momento in cui tutte le sinistre europee avevano già imboccato un’altra direzione. Questo è un momento  difficile a livello europeo per tutte le forze di sinistra, ma in Italia si è andati in senso opposto e contrario. Invece di superare la stagione di Blair che comunque con tutti i suoi difetti aveva rappresentato una fase storica, si è tornati indietro, ossia al blairismo senza più gli anni novanta che l’avevano favorito. La base chiedeva altre cose alla sinistra. Il problema vero non è quello di non aver colto in tempo la sfida della sinistra liberale, ma di aver perso la capacità di rappresentare i più deboli. E questo certo non poteva farlo il blairismo”.

Polito aggiunge ancora: “La retorica delle opportunità in cambio di sacrifici è così proseguita anche oltre il ragionevole, tentando di mettere insieme la Coop con Amazon, come dice Aldo Bonomi, il sindacato con Marchionne, i risparmiatori coi banchieri, l’artigiano con la Fornero”. Anche questo è un fallimento del Pd?

Il Pd ha cercato di essere un partito maggioritario capace di andare oltre la sua base tradizionale, e questo lo ha portato a perdere quella radicalità che invece sarebbe servita. Penso che la strada non fosse quella di costruire un partito identitario in grado di rappresentare soltanto una classe sociale ma è sicuramente mancata la capacità di mantenere un orientamento di fondo sugli interessi da rappresentare. Insomma, si può pure essere amici degli imprenditori, ma lo si deve essere da sinistra di governo, da un campo consapevole della sua autonoma visione del mondo anche rispetto al capitalismo. Se si è consapevoli di questo, allora si può essere anche un partito interclassista e non necessariamente identitario”.

Non c’è stata anche da parte della sinistra un’attenzioone eccessiva sui cosiddetti diritti civili? Unioni gay, maternità surrogata e altri argomenti cari al mondo Lgbt ma comunque lontani dalle aspettative delle classi più deboli?

“Non credo sia stato sbagliato far avanzare il Paese anche in termini di diritti civili, considerando i forti ritardi rispetto agli altri Stati europei per ciò che concerneva i diritti delle coppie gay. E’ stato invece un errore far credere che la sinistra fosse principalmente questo, e che per tutelare certi tipi di istanze non avesse più tempo da dedicare ad altre”.

Polito alla fine però giudica un errore sciogliere il Pd riconoscendogli ancora un ruolo nel campo delle sinistre europee. Condivide?

“Sciogliere o non sciogliere il Pd non è adesso la priorità. Come evidenzia Polito le decisioni devono arrivare dal basso, non possono essere decise dagli stessi vertici che hanno guidato il partito negli ultimi cinque anni e che oggi vorrebbero avere la soluzione in tasca senza mettere minimamente in discussione il loro ruolo. C’è del vero in chi chiede al Pd di fare una scelta all’altezza della gravità del suo problema. Tornare ad un congresso con le primarie, e con quella modalità che risolve tutto nella scelta del leader senza riconoscere alcun ruolo agli iscritti, è una strada che credo non porti lontano. Difficile prendere tuttavia decisioni che richiederebbero uno sforzo unitario nel riscrivere le regole e nel rimettere in discussione se stessi”.

Roberto Giachetti ha annunciato lo sciopero della fame contro le cene carbonare dei dirigenti. Il Pd è arrivato a questo?

“Si stanno continuando a mettere in campo i protagonismi del gruppo dirigente in una sorta di gara a chi fa la proposta più eclatante. Non sono contraria alle riunioni ristrette fra dirigenti perché un partito non può vivere solo di assemblee e dirette streaming, ma pensare che tutto si risolva annunciando una cena su twitter mi sembra paradossale. Giachetti se non sbaglio è ancora un dirigente del Pd, quindi fare lo sciopero della fame per ottenere la data del congresso dal proprio segretario, mi suona molto strano, è come scioperare contro se stessi. Tutto questo fornisce l’idea di una comunità politica disgregata dove tutti sono incapaci di guardarsi negli occhi”.

Ha ragione Calenda? Al Pd serve lo psichiatra?

“Si, ha ragione, ma forse lo psichiatra ci vuole anche per lui che non è affatto estraneo a queste dinamiche. Lui è un pezzo di questo gruppo dirigente, è stato un ministro che ha fatto e condiviso delle scelte. Si è candidato nel 2013 in un partito che non era il Pd e ha contributo al risultato negativo del 4 marzo. Sbagliato come fa Polito parlare di errori di un decennio. Gli errori sono stati fatti principalmente negli ultimi cinque anni. Non che prima vi fosse l’infallibilità ma in questi dieci anni c’è stato un momento in cui il Pd vinceva tutto. Poi le scelte successive, riconducibili all’ultima fase, hanno provocato il tracollo. C’è stato un problema specifico determinato dalla rottura con l’elettorato di sinistra, e questa rottura c’è stata con il renzismo, non prima”. 

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