Domani scatta l’ora X col voto in Giunta. I suoi componenti dovranno scegliere se concedere o meno l’autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini, per il sequestro di persona dei migranti a bordo della nave Dicitotti.
Ma l’ultima parola spetterà al Senato: che dovrà esprimersi entro il 25. Come al solito, un evento diventa un altro e un altro ancora. Ormai si sovrappongono tante letture e tutte diverse. E si giocano tante partite e tutte diverse.
Da una parte, la tenuta dell’esecutivo. Il presidente della Giunta, il forzista Maurizio Gasparri, ha tirato fuori dal cilindro la sua soluzione, che salverebbe capra e cavoli, fornendo un alibi al diretto interessato. Matteo Salvini “ha agito per il superiore interesse della nazione e dello Stato”, la sua decisione ministeriale è stata, per logica conseguenza, all’insegna del preminente interesse pubblico, figlia del mandato popolare che ha consegnato il Paese alla maggioranza gialloverde, e frutto delle promesse elettorali, rafforzate dal fatto che lo stesso premier Conte è venuto in Aula (Palazzo Madama), a legittimare istituzionalmente il suo ministro degli Interni.
E infatti Conte, proprio sulla base di questa interpretazione, è diventato correo oggettivo di Salvini, insieme a Di Maio, e il ministro Toninelli.
Non a caso dalla procura siciliana è partito pure un fascicolo sui tre. Riassumendo: scelta sulla Diciotti condivisa, collegiale e responsabilità collegiali. Ergo, se viene concessa l’autorizzazione a procedere verso il leader della Lega, successivamente saranno chiamati in causa anche Di Maio, Toninelli e Conte. E subiranno la medesima sorte.
E se i grillini erano tentati di poter giocare su due fronti, dire sì a Salvini per non contraddire il loro dna giustizialista e moralista (e per evitare ulteriori malumori presso la base e la componente di lotta del Movimento), e, parallelamente, consegnare una memoria in cui si ribadiva la compartecipazione sul caso, adesso non potranno più farlo.
E se prima la scure su Salvini lo avrebbe certamente ridimensionato (troppo vincente, come si è visto con le elezioni abruzzesi e l’erosione di consensi pentastellati), a beneficio di un riequilibrio psicologico e politico dentro il governo, ora sono tutti sulla stessa barca.
Non saranno possibili più strategie di sorta. Il governo cadrebbe davvero. Ma è vero anche il contrario: la condivisione giudiziaria darà più forza a Salvini, costringendo i grillini a rivedere le loro posizioni.
Non è più questione morale o ideologica, ma di pura sopravvivenza.
Molto probabilmente si ridurrà di molto, in vista del 25 prossimo, la schiera dei duri e puri, fedeli al giustizialismo delle origini ed è normale ritenere che Salvini riuscirà a cavarsela, evitando il precedente di una caduta collettiva dagli effetti deflagranti.
E si eviteranno perfino maggioranze anomale: Fi e Fdi con il loro no, allo scopo di riagganciare Salvini, recuperandolo all’ovile del vecchio centro-destra.
Resta il problema del voto on line oggi dei girillini: sarà libero o eterodiretto per la ragion di Stato?
L’unica obiezione ad un punto della ricetta-Gasparri, è che il mandato popolare dato a Salvini, non è stato maggioritario (identificabile istituzionalmente col Paese), ma fermo a quel 17% che ha ottenuto il 4 marzo, tra l’altro all’interno di un altro schieramento. Non esattamente quello contrattuale che ha consentito il varo del governo Conte.