Il nuovo Silvio Berlusconi è Matteo Renzi (il figlio desiderato, non i delfini, da Toti ad Alfano, a Tajani, sempre annunciati e sempre delegittimati sul campo). Provare per credere. Non è una novità. Da parecchi anni si evidenziano le analogie tra i due.
Si è detto e scritto che il leader ex-dem è figlio del berlusconismo, del partito post-ideologico televisivo e che appartiene alla stessa cultura politica del Cavaliere: liberal-democratica e cristiano-sociale. E che i due hanno rappresentato e rappresentano una sorta di autobiografia della nazione. Gli azzurri nel centro-destra e i renziani nel centro-sinistra.
Poi, li si è visti e sperimentati al governo: entrambi all’opera per realizzare un bipolarismo compiuto. Entrambi capi di partiti a vocazione maggioritaria, entrambi favorevoli ad una riforma costituzionale mirata a semplificare il quadro politico, rendere efficaci ed efficienti le istituzioni, nel nome della governabilità. Entrambi artefici di strategie e scelte liberiste ed europeiste.
Uguali anche nella posa e nell’approccio politico: sovrani di una democrazia cesaristica, presidenzialista, diretta. Amici della piazza.
Berlusconi ha pensato ad un partito unico del centro-destra e Renzi ad un partito unico del centro-sinistra.
In fondo, quale differenza c’è e ci sarebbe stata tra “il partito degli italiani”, annunciato urbi et orbi nel famoso discorso del Predellino e “il partito della nazione”, ipotizzato dall’ex sindaco di Firenze?
Nessuna. Partiti a vocazione maggioritaria, contenitori omnibus di vari filoni politici e culturali (conservatori, popolari, liberali, riformatori), e sistema elettorale in linea.
Poi, col tempo, questi disegni sono svaniti. Si sono persi. La politica si è radicalizzata nello scontro tra sovranisti e globalisti, tra populisti e liberal, e la moviola ha recuperato terreno: a destra Fi e An che avevano contribuito a fondare il Pdl sono tornati ai nastri di partenza, ridando vita a Fi e Fdi-An; a sinistra il momentaneo oscuramento di Renzi, dopo il 4 dicembre (il referendum perso), ha visto riprodursi la frammentazione e la moltiplicazione dei pani e dei pesci riformisti (Pd, +Europa, Leu e sinistre varie).
Ma dopo le vicende che hanno portato alla nascita e alla fine del governo gialloverde, e alla nascita del governo giallorosso, si è aperta una nuova partita: quella del centro di gravità permanente.
Calenda, Renzi, Conte e lo stesso Berlusconi hanno capito che in questo spazio geografico, si giocano e giocheranno gli equilibri della politica futura.
Con tante variabili indipendenti. Calenda, competente, ma è un generale al momento senza esercito. Conte, non ha una squadra, solo fan e sponsor (dal Vaticano al Quirinale). Renzi ha fondato Italia viva, che ha come mission l’identità centrale. Berlusconi, dopo piazza San Giovanni, ha capito che se rimane schiacciato tra Salvini e Zingaretti, consegna gli azzurri al macero della storia. E il centro-destra alla suggestione sovranista.
E allora si è inventato l’Altra Italia, una sorta di contenitore parallelo, per drenare i consensi e impedire eccessive fughe verso Iv o la Lega (Bergamini e Carfagna insegnano). Lo schema è consueto: i liberal-democratici, i cristiani, i moderati non sono rappresentati, quindi per loro c’è bisogno di una nuova casa.
Peccato che si tratti della riproposizione di uno schema datato e retrodatato: quello del 1994, quando Fi era forte, capace di federare una destra periferica territoriale e meridionale (la Lega e An) e un centro post-dc in via di dissolvimento (Udc etc).
Più praticabile la strada di Renzi. Starà ora a lui dimostrare se il suo progetto è una specie di Ulivo2.0, un centro nuovo che guarda a sinistra o la versione italiana del modello-Macron. Un soggetto politico rottamatore ma in grado di ricostruire il Paese. Sintetizzando le tante anime per ora incompatibili.