Salvini a Mosca, parla Becchi: “Chi gli ha tirato il pacco… “

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Il Copasir apre un’indagine su Antonio Capuano, avvocato, ex parlamentare di Forza Italia che come, consigliere di Matteo Salvini, ha lavorato all’organizzazione del viaggio a Mosca del leader leghista. L’annuncio dell’indagine è stato dato dal presidente dell’organismo parlamentare Adolfo Urso. Non si placano dunque le polemiche politiche dopo che è trapelata la notizia di una missione di Salvini a Mosca per incontrare le autorità russe e tentare di fermare il conflitto in Ucraina. Vicenda dai contorni molto anomali, come spiega anche in questa intervista il filosofo Paolo Becchi, fra i pochi in Italia ad essersi schierato con la Russia e contro la narrazione occidentale della guerra.

Che idea si è fatto della vicenda Salvini? Come mai dopo aver preso nettamente le distanze da Putin sull’Ucraina, era pronto a volare a Mosca?

“Penso che come ogni cittadino che segue la politica e vede come vanno le cose, si sia reso conto che quel grande successo che ha avuto nel 2019 alle elezioni europee si sta dissolvendo sempre di più. Ormai quel consenso si è praticamente dimezzato secondo gli ultimi sondaggi, che non sono voti reali ma restano indicativi. Valutando la situazione generale ha pensato forse che, riuscendo nell’impresa di andare a Mosca e ottenere qualche risultato in direzione della pace, avrebbe potuto invertire la tendenza, in vista dell’imminente voto amministrativo ma soprattutto delle prossime politiche. La maggioranza del popolo italiano non è affatto contro la Russia e non addebita a Putin tutte le responsabilità della guerra. Salvini evidentemente ha capito anche questo”.

Ha fatto bene secondo lei?

“Se il progetto fosse andato in porto il successo sarebbe stato assicurato. Ve lo immaginate Salvini fotografato mentre stringe la mano a Lavrov e discute con lui come far cessare il conflitto, proponendo anche una proposta di pace? Sarebbe bastato ottenere anche una minima concessione dai russi per guadagnare un prestigio nazionale ed internazionale e fare ombra al premier Draghi che finora non è mai andato oltre una telefonata con Mosca. Ma stiamo ragionando su un film che non abbiamo visto e che non vedremo mai”.

Perché l’operazione è saltata?

“Perché queste cose vanno organizzate con riserbo e discrezione. Si doveva puntare sull’effetto sorpresa, facendosi vedere al Cremlino senza che nessuno lo sapesse. Invece questo viaggio si è trasformato in un caso mediatico ancor prima di diventare un’ipotesi concreta. Da quello che si è capito nella Lega nessuno era al corrente dell’operazione, perché pare che a curare tutto siano stati dei nuovi consulenti estranei al partito. Non conosco i contorni della vicenda, ma mi pare evidente che il progetto è stato fatto abortire ancora prima di nascere. Salvini ha ripetuto lo stesso errore fatto quando si è recato in Polonia per portare solidarietà ai profughi ucraini, trovandosi accolto dalle contestazioni organizzate. Qui se vogliamo gli è andata anche peggio perché il viaggio è fallito, e in più si trova al centro di una bufera mediatica che sta oscurando la campagna elettorale”.

Pensa che sarà un danno per la Lega in termini elettorali?

“Vede, il 13 giugno si andranno a contare i voti. E’ vero che la Lega si presenta in alleanza con il centrodestra un po’ ovunque, ma poi ciò che conterà sarà il peso effettivo della Lega rispetto a Fratelli d’Italia. E Salvini non può permettersi di perdere troppi punti rispetto alla Meloni, indipendentemente dalla vittoria dei candidati del centrodestra. Ma c’è un altro aspetto da considerare”.

Quale?

“Salvini avrebbe potuto equilibrare il risultato poco entusiasmante che si prospetta per la Lega alle amministrative impegnandosi anima e corpo nella campagna referendaria per portare a casa il quorum, visto che i referendum sulla giustizia sono stati promossi proprio dal Carroccio insieme ai Radicali. Si sarebbe potuto intestare la vittoria e risalire la china in questo modo. Anzi, credo che i leghisti avrebbero fatto meglio a concentrare le proprie energie più che sul voto amministrativo proprio sulla promozione dei quesiti referendari. Invece dei referendum non parla nessuno, mentre da giorni sui media non si fa che discutere di un viaggio a Mosca che non c’è mai stato”.

Condivide la tesi di chi sostiene che forse il viaggio è stata proprio un’operazione mediatica servita a Salvini per recuperare consenso fra un elettorato di destra che non condivide il filo atlantismo di Draghi e del governo? 

“Non credo proprio, se fosse stata un’operazione costruita ad arte parlerei di un colossale fallimento, un autentico effetto boomerang, perché sarebbe stato molto meglio non parlarne in questi termini. Nessun rappresentante della Lega sta andando in televisione a promuovere i referendum o per parlare di elezioni, proprio perché finirebbero a dover rispondere a domande sul viaggio a Mosca, che non essendoci stato si è rivelato un clamoroso autogol. L’ipotesi più credibile è quella di una fuga di notizie nell’entourage salviniano che stava lavorando al progetto. Del resto Salvini già da tempo ha detto che sarebbe pronto a tutto pur di far finire la guerra, quindi anche una sua missione personale a Mosca poteva starci benissimo. Non è che doveva chiedere il permesso a qualcuno per volare in Russia, lui non è un ministro ma un leader di partito, quindi libero di muoversi senza impegni di governo. Forse si è affidato alle persone sbagliate che gli hanno tirato un pacco. Per tutta risposta oggi abbiamo pseudo consulenti segreti diventati improvvisamente delle star che rilasciano interviste sui giornali raccontando i particolari della vicenda. Se era tutto organizzato c’è da mettersi le mani nei capelli, perché direi che questo è il modo migliore per non portare a casa né i voti alle amministrative, né tantomeno la vittoria ai referendum”.

Quindi l’altra ipotesi è quella di un diversivo da utilizzare in campagna elettorale proprio per distogliere l’attenzione sui referendum?

“Questi referendum rappresentano una svolta storica, l’occasione per imporre al Parlamento una seria riforma della giustizia, che vada oltre i pur lodevoli passi avanti della Riforma Cartabia. La separazione delle carriere dei giudici, i criteri di elezione del Csm, i limiti alla carcerazione preventiva sono tutti temi che il Parlamento fatica ad approvare a causa della forte opposizione dei magistrati. Una vittoria dei Sì darebbe una forte spinta in questo senso. Se il quorum non sarà raggiunto, difficilmente la politica si sentirà nelle condizioni di sfidare i magistrati. Nessuno vuole attaccare i magistrati o impedire loro di lavorare, ma c’è oggi in Italia un grande problema rappresentato da un evidente strapotere della magistratura inquirente anche nei confronti della politica, e questo ha finito con l’alterare l’equilibrio democratico fra poteri dello Stato. Salvini avrebbe dovuto andare in giro per l’Italia a promuovere i referendum, presidiare le trasmissioni televisive, dare massima visibilità ai quesiti, denunciare l’assenza di informazione. Invece oggi si ritrova al centro dell’attenzione per un viaggio che non è neanche riuscito a portare in porto. Un caso mediatico che si sgonfierà subito dopo il voto come tanti altri creati sotto elezione ma utili per sviare l’attenzione dai temi reali”.

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