Questione morale, il M5S si mangia il Pd

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Gli effetti del Qatargate già si stanno vedendo nei sondaggi: il Pd è scivolato sotto il 15 per cento. Se continua di questo passo, il partito di Enrico Letta finirà presto assorbito in un buco nero, né più e né meno come è accaduto al Partito socialista francese.

Il buco nero in questione sarebbe, nel caso italiano, il M5S di Giuseppe Conte. E per il Pd si tratterebbe di un destino crudele e, se vogliamo, anche un po’ disonorevole. Perché, un conto è finire, come nel caso francese, nella pancia di Emmanuel Macron, che sarà antipatico quanto volete, ma che ha stoffa e qualità da statista, un altro conto è essere mangiati da Conte, campione di trasformismo e di furbizia. Un Conte che è riuscito a fondere due antichi (e tra loro opposti) vizi politici nazionali: la pulsione al pietismo populista (come nel caso del reddito di cittadinanza), da un lato, e la tendenza al qualunquismo giustizialista (sarebbe troppo elevato evocare il giacobinismo), dall’altro.

E proprio su quest’ultimo tasto, dopo l’esplosione della nuova questione morale targata Pse, sta oggi, impietosamente, pigiando il leader pentastellato. «I partiti toccati dalla questione morale facciano chiarezza», ha tuonato ieri Conte con evidente riferimento agli uomini del Pd implicati nel Qatargate. E, sia detto per inciso, la cricca piddina finita sotto i rigori della magistratura belga ha compiuto due disastri in uno: ha screditato il Pse e ha screditato, contemporaneamente, l’intera politica italiana, che pure non gode, di per sé, di buona fama all’estero. Tant’è che i giornali nordeuropei hanno ribattezzato “Italian Connection” il verminaio affaristico che sta emergendo dall’inchiesta su Panzeri e i suoi poco onorevoli sodali.

Non ci resta che piangere, potremmo dire ricordando un vecchio film con Massimo Troisi e Roberto Benigni. E usiamo la prima persona plurale perché, a ben vedere, un Pd che finisce fagocitato dal M5S è una sconfitta per tutti, per tutta la politica italiana, non solo per la sinistra. Produce infatti una immensa tristezza il pensiero che due illustri tradizioni politiche (quella del Pci e quella della sinistra Dc), due tradizioni che provarono a fondersi con la nascita del Pd, concludano la loro parabola e finiscano all’archivio storico perché sopravanzate oggi da una non-cultura politica, quella appunto del M5S, che è nato dalle gags di un comico, Beppe Grillo, e dalla sulfurea scommessa di un imprenditore del web, Gianroberto Casaleggio.

Molti potranno obiettare che, in fondo, la tradizione politica della sinistra è in declino un po’ in tutta Europa e che quindi le disgrazie del Pd rappresentano il riflesso di un destino storico. Non c’è dubbio che sia così. Ma il caso italiano è reso più complicato dal fatto che da noi, a differenza di ciò che è accaduto altrove, la sinistra ha usato l’arma impropria della questione morale in modo sistematico.  E ciò è avvenuto perché il moralismo, dopo Tangentopoli, ha impregnato profondamente  la cultura politica degli eredi del Pci facendo peraltro loro trovare l’avversario ideale: Silvio Berlusconi, che per un lungo periodo, almeno dal 1994 al 2012-2013, è riuscito ad “unire” la sinistra, come una sorta di totem malvagio, molto più di quanto abbiano potuto fare la forza delle idee e dei progetti. In questo modo, il Pds-Ds, prima, e il Pd, poi, hanno, sì, potuto scorrazzare per le ampie praterie della questione morale, a prezzo però di perdere sempre più di vista i ceti popolari e le loro reali domande.

L’avanzata poi nel Pd, per effetto della de-ideologizzazione, di una nuova leva di dirigenti “pragmatici” (e qualcuno con il vizio dell’affarismo) ha fatto il resto. Con l’effetto boomerang di queste settimane.

E dire che, se oggi il Pd è nei guai, Berlusconi è invece ancora lì, in una maggioranza di governo. Quando si dice la nemesi… beffarda.

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