Regionali, il paradosso della Meloni e la paura di Salvini

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La paura di Matteo Salvini comincia dal 10%. È la soglia sotto la quale la Lega non può assolutamente scendere alle elezioni regionali in Lombardia di domenica prossima.

Del Lazio, invece, il Carroccio si può anche disinteressare, dopo il fallimento del progetto “nazionale”. Quel  progetto – lo ricordiamo- portò la Lega al 34 per cento nelle europee del 2019. Ora è solo un pallido ricordo. Tutto passa, tutto va…

Ma la Lombardia no, la Lombardia è la culla del Carroccio, la “Patria” originaria, l’ ”Heimat”, chiamatela come volete. Subire un tracollo lì sarebbe l’inizio delle fine. E Matteo è giustamente preoccupato. Proprio in vista delle regionali, sono circolati nei giorni scorsi sondaggi riservati quanto mai inquietanti per il leader della Lega. Pare che nella sua regione potrebbe essere surclassato da Fratelli d’Italia. Si parla addirittura del triplo dei voti che andrebbero al partito di Giorgia Meloni. Se il Carroccio non riuscisse a superare, appunto, il 10% , si potrebbe verificare uno smottamento dagli esiti imprevedibili.

E quello che vale per la Lega, vale anche per Forza Italia, che è stimata, nei sondaggi, ancor meno del partito di Salvini. Anche per FI la Lombardia è la regione-madre. Milano è la città di  Silvio Berlusconi. Sempre in  Lombardia c’è lo storico retroterra sociale e culturale che vide a suo tempo l’affermazione di Forza Italia. Ed è proprio qui che il partito del Cav, per tanti anni, ha espresso un governatore come Roberto Formigoni, poi caduto in disgrazia.

Ecco dunque il paradosso che preoccupa la Meloni a pochi giorni dalle regionali: la paura di stravincere, la paura cioè di stravincere facendo troppo male ai suoi avversari, con le inevitabili ripercussioni sulla stabilità del governo. Paradosso nel paradosso, sarebbe la prima volta che una netta vittoria del partito del presidente del consiglio in consultazioni regionali avrebbe conseguenze negative sull’esecutivo.

Il fatto è che, a Salvini, questo appuntamento elettorale potrebbe costare assai caro (persino la leadership della Lega) se l’esito delle urne si rivelasse troppo deludente. E, anche per la Meloni, un simile esito potrebbe comportare gravi conseguenze, avendo Giorgia stabilito un patto di ferro con Matteo alla nascita del governo, con una sovra-rappresentazione del Carroccio negli incarichi che ha creato non pochi mal di pancia in Forza Italia.

E proprio la necessità di mettere in qualche modo in sicurezza la poltrona di Salvini in via Bellerio potrebbe spiegare anche la sollecitudine con la quale la premier ha permesso che il ddl Calderoli venisse varato in tempo record.

Ma la premier deve prestare attenzione anche ai segnali di nervosismo che arrivano da Forza Italia. Anche da quelle parti i sondaggi in vista delle regionali stanno creando ansia  crescente. E si tratta di segnali che arrivano direttamente da Berlusconi. In questi giorni è trapelato sulla stampa la preoccupazione di uno spostamento «troppo a destra» della coalizione che il Cavaliere avrebbe confidato ad alcuni dirigenti del suo partito in una conversazione privata. Il leader di FI avrebbe addirittura rivelato una sua, ovviamente frustrata, preferenza per Letizia Moratti alla guida della Lombardia.

Smentite a parte, è chiaro il fatto che, se circolano sulla stampa certe affermazioni, vuol dire che la situazione potrebbe farsi incandescente dopo le regionali. Intendiamoci, non è che, nella peggiore delle ipotesi, il governo rischierebbe seriamente qualcosa, non foss’altro perché la popolarità della premier è in questo momento fuori discussione. E in tale senso vale la pena rilevare che il caso Cospito-Donzelli-Delmastro non sembra affatto aver indebolito la Meloni e FdI: la gente comune non s’è appassionata alla questione giuridica dell’ergastolo ostativo e sembra piuttosto aver recepito il messaggio semplice della contrapposizione tra autorità dello Stato, da una parte, ed eversori-terroristi, dall’altra.

È chiaro però che una eventuale crisi permanente degli alleati minerebbe non poco l’attività dell’esecutivo rallentandone l’azione. E una simile conclusione, una leader come Meloni, che ha ricevuto tanti consensi nella speranza di veder affermato un stile nuovo di governo, non se la può assolutamente permettere. Tutto, alla fine, si paga.

 

 

 

 

 

 

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