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Evasione Badu ‘e Carros: parla il segretario generale del Sappe

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carcere

Graziano Mesina, Luciano Leggio, Renato Vallanzasca, Francis Turatello, Antonio Iovine, Pasquale Barra, Settimio Mineo, Antonio Papalia, Pierluigi Concutelli: praticamente il gotha della criminalità italiana ha soggiornato, nell’arco di cinquant’anni, nel carcere di massima sicurezza di Badu ‘e Carros, periferia di Nuoro. Il carcere vantava numerosi tentativi di evasione falliti, grazie all’alto livello di sicurezza degli edifici e per questo lo avevano reso uno delle carceri più sicure e temute d’Italia. Vantava, appunto, fino allo scorso 24 febbraio, quando Marco Raduano, boss della mafia pugliese, è riuscito clamorosamente a evadere calandosi indisturbato dal muro esterno con una corda di lenzuola.

«E’ crollato un mito – dice sconsolato Donato Capece, segretario generale del Sappe, il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria – perché Badu ‘e Carros è storicamente sinonimo di sicurezza e inviolabilità. Tuttavia, a causa dei ripetuti tagli e della carenza del personale anche in un carcere come quello si è creata una falla. All’organico mancano circa sessanta agenti e ciò ha abbassato ulteriormente i livelli minimi sicurezza».

La dinamica dell’evasione è sconcertante. Esclude, segretario Capece, che qualche suo collega, abbia contribuito, per così dire, alla preparazione della fuga di Raduano?

«Conosco bene i colleghi di Nuoro: sono seri, onesti e preparati. Per carattere e mentalità mi fido di loro ciecamente».

E’ già stato a Nuoro?

«No, ci andò a giorni. Porterò la vicinanza e la solidarietà del sindacato ai colleghi e per rendermi di come siano andate le cose».

Cambierà qualcosa a Badu ‘e Carros?

«A parte la sospensione dell’attuale comandante di reparto, sostituito da un collega che arriva da Milano Opera, non cambierà niente. Mi auguro che i fatti di Nuoro spingano l’amministrazione penitenziaria a rafforzare l’organico. Intanto sono sicuro che i colleghi, feriti nell’orgoglio, raddoppieranno gli sforzi affinché un evento del genere non accada più».

Lei ha dichiarato che l’evasione di un detenuto ristretto in regime di alta sicurezza è una precisa responsabilità dei “colletti bianchi”. Chi sono i colletti bianchi?

«Coloro che decidono in seno all’amministrazione penitenziaria. I burocrati. A loro abbiamo più volte segnalato le disfunzioni e le gravi carenze d’organico fino alla mancanza di essenziali figure di direttore e di comandante di reparto. Cosa hanno fatto? Ora tocca a loro spiegare. Purtroppo la polizia penitenziaria è l’ultimo anello di questo sistema. Nonostante i sacrifici e l’abnegazione con i quali i colleghi affrontano i problemi quotidiani non si riesce a garantire la sicurezza 24 ore su 24. Aggiungo che la scelta fatta dai governi precedenti di adottare la cosiddetta vigilanza dinamica e le celle aperte ha di fatto depotenziato il servizio di prevenzione. La figura del poliziotto sempre presente fungeva da deterrente e serviva a sottolineare il rispetto della legalità. Oggi i detenuti si muovono nei corridoi a ridosso delle celle aperte, mentre gli agenti da lontano osservano dalle proprie postazioni. Molte volte tra detenuti si commettono dei reati che però gli agenti non sono in grado di perseguire».

Vigilanza dinamica e regime aperto: cosa significano?

«Sono facce della stessa medaglia. La vigilanza dinamica non prevede la presenza statica del poliziotto nelle sezioni di detenzione, ma il saltuario controllo, mentre i detenuti sono liberi dalla mattina fino al tardo pomeriggio. In tal modo, si permette loro di fare “socialità”. Una volta la presenza fissa dei colleghi era una forma di prevenzione, per il rispetto della legalità e delle regole interne del carcere».

La carenza di personale è acclarata, ma com’è possibile che in alcuni penitenziari manchino le figure apicali come il direttore e il comandante?

«Danni siamo in attesa dei nuovi concorsi. Oggi i direttori spesso seguono due o tre istituti nell’arco della settimana, i comandanti di reparto la stessa cosa e, chi per una ragione, chi per un’altra, non accettano di rimanere più del dovuto nelle sedi disagiate. La Sardegna è una sede disagiata per la quale abbiamo sollecitato l’amministrazione a garantire la presenza di un dirigente in ogni istituto. Logica vorrebbe che ogni carcere debba avere un comandante di reparto e un direttore dell’amministrazione penitenziaria e invece ogni tanto vengono mandati in missione alcuni dirigenti dal “continente”, che dopo alcuni mesi rientrano nel proprio istituto. Così la Sardegna resta sempre scoperta».

Sarebbe possibile affidare in appalto alla vigilanza privata alcune attività non nevralgiche?

No, solo la polizia penitenziaria, corpo dello Stato, ha questa responsabilità. In ogni prigione ci sono servizi anti-intrusione e anti-scavalcamento che purtroppo non funzionano a causa della carenza di organico. A Nuoro c’era una sentinella fino alle 16. Ora c’è vigilanza soltanto nelle ore mattutine, mentre il pomeriggio anche nei grandi istituti il pomeriggio e la notte restano al massimo dieci unità in servizio. Ciò è un pericolo perché i detenuti sanno che se possono creare un buco nelle maglie della sicurezza ne approfittano. L’obiettivo di ogni detenuto è quello di evadere».

Di quante assunzioni avrebbe bisogno la Polizia penitenziaria?

«Intorno alle 4200 unità perché si lavora al di sotto del livello medio di sicurezza, che non garantisce i nemmeno i diritti soggettivi di ogni lavoratore, vale a dire turni di otto ore e ferie. Per migliorare ulteriormente tali condizioni ce ne vorrebbero almeno 5000. La condizione ideale si raggiungerebbe con 12mila nuove unità. Ma non credo che questo governo e i prossimi possano arrivare a tanto».

Dal vostro punto di vista come si affronta il sovraffollamento delle carceri?

«Applicherei in toto la riforma Cartabia, che a regime potrebbe ridurre gli attuali 56mila detenuti a 45mila detenuti. Tutti coloro che hanno commesso reati che non prevedono la pena superiore ai quattro anni, scontano le cosiddette misure alternative fuori dal carcere sotto l’attento controllo degli agenti di polizia penitenziaria in servizio negli uffici di esecuzione penale esterna. Bisogna alleggerire la popolazione carceraria e tenere in detenzione i recidivi e i grandi criminali. Il futuro è questo a patto che si voglia adottare per davvero la riforma».

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