I dirigenti del Pd convocati tempestivamente dalla Schlein, come ogni riunione dopo una sconfitta elettorale così schiacciante, al di là della comunicazione ufficiale per il mondo esterno, speriamo abbiano affrontato dentro le segrete stanze il senso e gli effetti della linea politica imposta dalla neo-segretaria.
Secondo quando trapelato qualcuno avrebbe messo in discussione il cerchio (emiliano) magico della leader, qualcun altro avrebbe dato vita ad un vero e proprio psicodramma. D’altra parte, chi vive di superiorità morale difficilmente riesce a ingoiare una sovranità popolare che sceglie chiaramente “il nemico”, “il male” e tutto ciò che viene considerato ideologicamente impresentabile, incompetente, negativo.
“L’effetto-Schlein” non c’è stato e ora il mantra è la “costruzione di una alleanza aperta”: per aggregare i grillini? Inutile girarci intorno: i due partiti tenderanno a cannibalizzarsi, non a sommarsi. “Campo largo”, invece, verso i riformisti del Terzo Polo? Altra ipotesi bocciata. Il renzismo viene considerato la rovina della sinistra.
E poi, le idee (altro vulnus): il posizionamento antifascista, femminista anni Settanta, pro-Lgbtq, green, non ha funzionato. Unisce target minoritari e radicalizza il partito verso l’ala estrema, riconsegnando al centro-destra i moderati attratti da progetti “neo-post-ulivisti”.
Ma c’è un tema interessante da approfondire. Ciò di cui in pochi parlano: il fallimento della narrazione dem.
Ormai è evidente: c’è un totale iato tra la rappresentazione della società letta da sinistra (modello-Schlein), e la realtà della gente. Che vota per ben altre ragioni, totalmente slegate dall’offerta politica giudicata solo adesso non all’altezza, o colpa dei candidati sbagliati, alibi a cui si stanno aggrappando a via del Nazareno.
Prima del voto avremmo detto che ci trovavamo di fronte allo scontro tra due visioni incompatibili di società: la modernità laicista (globalista, green, sanitaria, europeista) e la modernità antropologica, incentrata sul primato della vita, della famiglia naturale, del no-gender e sulla centralità delle identità politiche, storiche, culturali, religiose dei popoli. Modernità antropologica ovviamente etichettata dalla sinistra come medioevo.
Adesso, dalla Spagna all’Italia (dopo la Finlandia), direzione Bruxelles (le prossime elezioni europee), la sensazione è che la narrazione sinistra, come detto, sia proprio fuori registro, non incida, non significhi più nulla per le masse urbane ed extraurbane (gli operai, i poveri votano destra). Un abisso nonostante i media, la classe intellettuale, gli osservatori, continuino a reiterare schemi superati.
Ad esempio, in Spagna, Sanchez non ha governato male, i numeri economici, l’occupazione sono positivi. Ha spinto molto pure su politiche legate ai diritti civili. Eppure la destra, dal Partito popolare a Vox, ha trionfato.
Vuol dire che il lavoro, l’occupazione, i diritti civili, vengono dopo argomenti come la sicurezza, la stabilità, l’immigrazione, la patria e l’unità della nazione (in questo caso la minaccia secessionista della Catalogna e dei Paesi Baschi).
Concetti, dalla patria alla nazione, guarda caso ribaditi ieri dalla Meloni (gongolando per il risultato delle comunali), citando Renan: “Sogno un paese dove ognuno si professi patriota; la nazione è un plebiscito tutti i giorni”.
E anche da noi, dati alla mano (dalle politiche alle amministrative), è lo stesso: patria, nazione, sicurezza, stop alla immigrazione, famiglia naturale, vincono su laicismo, diritti Lgbtq, mondialismo, immigrazione incontrollata, gender, famiglie arcobaleno, antifascismo trito e ritrito.
Speriamo che la Schlein pensi alla società reale non a quella che deve essere.