L’ultima possibilità di Sergio Mattarella di bloccare tutto

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Questo fine settimana avverranno tre cose non da poco (la chiamano terza Repubblica mica a caso): il voto della base dei 5Stelle e della Lega, la definitiva chiusura del contratto e la scelta da parte di Luigi Di Maio e Matteo Salvini del premier.

Entriamo nel dettaglio:

1) Le consultazioni di piazza fisica e virtuale, previste dai due partiti, lo abbiamo scritto su Lo Speciale, o sono concepite per confermare, ratificare una decisione già presa dall’alto, o per perderle. Cioè, usate come alibi per sfilarsi da una posizione diventata imbarazzante, preoccupante e a forte rischio. Fino ad un paio di giorni fa, la sensazione che si aveva era la seconda. Stava franando tutto, Lega e 5Stelle non trovavano la quadra, i loro programmi erano troppo diversi, il loro dna pure, e nessuno, tra i diretti interessati, voleva assumersi la responsabilità di aver fatto saltare il tavolo. Una cosa è certa, e vale anche nella prospettiva di un governo che parta: in caso di fallimento pure tra un anno, nessuno dei due leader, potrà facilmente recuperare in quanto a credibilità. Ma ad oggi, l’accordo è quasi fatto, quindi le consultazioni sulla piattaforma Rousseau, sulla rete e presso i gazebo, salvo sorprese, diverranno il viatico popolare al primo governo giallo-verde. La nostra Repubblica ormai, va ammesso, è in una fase di passaggio: dal parlamentarismo, dalla democrazia delegata alla democrazia diretta. Passaggio che non è riuscito col sistema maggioritario, nel quale una coalizione vincente alle urne formava l’esecutivo, e chi aveva la leadership dello schieramento aveva automaticamente la premiership (al punto che nei loghi dei partiti la consuetudine di mettere il nome del capo, aveva e ha assunto una connotazione quasi costituzionale). Lega e 5Stelle, specialmente alla luce degli ultimi eventi, hanno impresso un’indubbia accelerazione alla fase due. E la democrazia delegata è sempre più accostata negativamente al Palazzo, alla casta, ai vecchi schemi della politica, il bipolarismo destra-sinistra. Lo si è notato chiaramente nel confronto serrato, complesso, che c’è stato tra il capo dello Stato Sergio Mattarella e i gruppi politici con più chances di formare il governo. Continuamente bacchettati sui temi, gli argomenti e la regolarità costituzionale (il discorso del presidente in occasione della commemorazione di Einaudi, i paletti europei, il mercato, la Ue, lo spread, la citazione insistita degli articoli della Costituzione relativi ai poteri del capo dello Stato di nominare il premier e di rimandare indietro le leggi non gradite etc); ortodossia costituzionale che non è stata mai richiamata in occasione dei governi scelti da Napolitano, esecutivi non eletti dal popolo (governi Monti, Renzi, Letta e Gentiloni);

2) Speriamo che il tavolo, tra sabato e domenica, sia realmente chiuso. La novità sta nella metodologia. Contratto, come summa trasparente di punti di accordo, e non intesa sotterranea, mediazione, come è accaduto finora con i partiti classici, che ha spesso svilito, sbiadito ogni ricetta. Certo, le differenze tra leghisti e grillini non si sono attenuate. La famosa commissione di correzione dei conflitti ufficialmente introdotta nell’accordo, riuscirà a sanare tali distanze? Su immigrazione, sicurezza e giustizia, i due partiti sono all’opposto. Su visione europea, sovranità, economia, legalità, moralizzazione della vita pubblica, no. E se un Di Battista, rispondendo alla campagna del Financial Times e degli eurocrati (arrivano i barbari, i mercati sono preoccupati), ha usato un termine per lui inconsueto (ciò che conta è la patria), i primi segnali sono incoraggianti;

3) Toto-premier. Di nomi per Palazzo Chigi ne girano tanti. Quello che si è capito è che non sarà un esecutore. D’altra parte, nemmeno la Costituzione avrebbe permesso tale scelta. Siccome si tratta di un governo politico, ricorrere ad un tecnico, secondo i desiderata del Qurinale, avrebbe significato cedere la sovranità giallo-verde ad un uomo gradito alla Ue o allo stesso Mattarella: i tecnici non sono mai neutri, anche la tecnica è un’ideologia (si pensi alle politiche economiche rigoriste di Monti). Le ultime notizie parlano di una staffetta tra Salvini e Di Maio o tra dirigenti di livello (Fraccaro-Giorgetti) e via dicendo. Un elemento che sembra ripercorrere le staffette dc-psi dei bei tempi andati. Ma pure tra le maglie di questa ipotesi possiamo cogliere qualche sbavatura: se Di Maio è entusiasta e comunica continuamente la chiusura felice dei tavoli, Salvini sembra frenare sempre (lo spettro di Berlusconi?). E infine, Mattarella accetterà mai la staffetta? Se vuole mettere l’ultimo bastone tra le ruote al governo, sicuramente la stopperà, rimandando i due ai bordi di partenza.

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