Sergio Mattarella ha ribadito oggi l’indissolubilità delle alleanze occidentali e le regole economiche internazionali, che non vanno disattese o ignorate dal nuovo governo giallo-verde.
Un avvertimento che fa il paio con la consolidata geopolitica post-bellica italiana (che non prevede l’amicizia con Putin); fa il paio con gli accordi, i trattati internazionali, il primato dei mercati (l’incubo e la mistica del debito pubblico); accordi e trattati sottoscritti dai politici italiani negli ultimi decenni, il cui peso è un macigno obbligato e obbligatorio per Conte.
In altre parole, ci risiamo: il messaggio quirinalizio è evidente e preciso: l’Italia non deragli dalla Ue, dall’euro, dall’Occidente, dal capitalismo. Ma non erano paletti già confermati e accolti da Conte e dai due dioscuri (Salvini e Di Maio)? Paletti che avevano rischiato di compromettere la formazione del governo, specialmente nelle fasi iniziali della sua composizione?
Una cosa è certa: è già iniziata la strategia di normalizzazione istituzionale. Energia rivoluzionaria eterodiretta dall’alto, che trasformerà anche grillini e leghisti, da “eversivi” in riformatori di quel sistema che pensavano di abbattere. Tutto cambi perché nulla cambi?
Le prove? Già si registrano a 360 gradi: i media si stanno adattando alla nuova narrazione. Da pericoli per la democrazia (grillini e leghisti), oggi intellettuali, giornalisti, imprenditori, docenti e anche politici insospettabili, sono saliti sul carro del vincitore. Tralasciando i riposizionamenti per mera opportunità (carriera, poltrone, vendette personali), lo sforzo di capire le ragioni pure di Lega e 5Stelle la dice lunga su una tradizione molto italiota, che fa rima con furbizia.
Gli imprenditori, dal canto loro, hanno ascoltato questa mattina un Di Maio, in versione ormai definitivamente inglese e di Palazzo, e si sono spellati le mani all’annuncio che l’Iva non aumenterà. Fino ad un anno fa Di Maio era lo statalista Robespierre.
In quanto alle istituzioni, l’abitudine al controllo, è antica e felicemente sperimentata sia dalla monarchia sia dalla repubblica: si chiama trasformismo, un gioco fatto di pesi e contrappesi, di mediazione delle ali estreme a beneficio dell’equilibrio dinamico del potere, guidato da un premier centrale, trasversale e carismatico (partito unico del presidente del consiglio, area ministeriale etc); gioco mirato a costituzionalizzare le forze inizialmente ostili al sistema (a fine ottocento socialisti, radicali, repubblicani; agli inizi del novecento, il fascismo inglobato dal blocco nazionale giolittiano, operazione – va detto – non riuscita), edulcorandone la ragione sociale e depotenziandole al punto di ingessarle. Mattarella, quindi, come De Pretis, Crispi e Giolitti?
E’ presto per dirlo. Ma se al populismo di Di Maio e Salvini verrà lentamente tolta, sottratta la forza, la diversità (rispetto alla sinistra) e l’originalità alternativa delle loro idee su sicurezza, Europa, immigrazione, economia, giustizia, con continui richiami (legittimi da parte sua), pressioni e blocchi (il diritto di veto), del presidente della Repubblica, cosa resterà?
Il populismo diverrà social-democratico o liberal-moderato? Salvini diverrà Berlusconi e Di Maio D’Alema-Renzi? Ma può accadere anche l’opposto: Mattarella potrebbe diventare re Vittorio Emanuele III, il re del 1922.