Gilet gialli 2.0 e gialloverdi italiani: il salto culturale e il no alle unioni gay

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Referendum popolari, maggiore partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, eliminazione degli aumenti di qualsiasi tipo (carburante e non solo), più progressività nelle imposte sul reddito, vale a dire più scaglioni; salario minimo francese a 1.300 euro netti. Nessuna prelievo alla fonte.

E ancora: promuovere le piccole imprese nei villaggi e nei centri urbani. Fermare la costruzione di grandi aree commerciali intorno alle principali città che uccidono le piccole imprese. Più parcheggi gratuiti nei centri urbani.

Tasse: i grandi (MacDonald, Google, Amazon, Carrefour, ecc.) paghino tanto e i piccoli (artigiani, piccole imprese) poco. Stesso sistema di sicurezza sociale per tutti (compresi gli artigiani e le partite IVA). Fine del piano sociale per i lavoratori indipendenti. Il sistema pensionistico deve rimanere solidale e quindi socializzato. Nessun pensionamento a punti (in Francia è stata introdotta una riforma del sistema pensionistico che prevede il calcolo in base a un sistema di punti). Nessuna pensione inferiore a 1.200 euro. Protezione degli anziani, dei minori e dei senza tetto.
E sorpresa: controllo dell’immigrazione clandestina, no ai matrimoni e alle adozioni gay.
Una piattaforma alternativa al sistema, quella dei gilet gialli2.0 francesi, che (ormai è chiaro) sta usando le tematiche sociali, dal basso, per scardinare il sistema presidenziale in termini valoriali, nel nome e nel segno di un’altra idea di Repubblica.

Inutili i tentativi, quindi, da parte di intellettuali, politici, studiosi ed esperti nostrani di interpretare, ricondurre, bloccare il fenomeno transalpino dentro categorie superate (destra-sinistra). Finora fan e guru del pensiero unico, hanno tentato di evidenziarne unicamente il dato violento, sovversivo, pericoloso per la legalità e la democrazia (violenza che nessuno giustifica), oppure la mera rivendicazione economica, dipingendoli come arretrati, premoderni, come gli ultimi nostalgici dell’assistenzialismo, dei sussidi di Stato, del Welfare nazionalista, ottocentesco. E inutili i tentativi della Le Pen e di Melenchon di strumentalizzare una protesta che sta assumendo connotati interessanti e trasversali. E che non tornerà più indietro, nonostante le previsioni negative, legate alla maggiore o minore presenza di attivisti nelle strade ogni sabato.

I gilet gialli 2.0 stanno assomigliando sempre più alla maggioranza gialloverde italiana: in mix di socialità e di patria, di giustizia e di identità, di libertà e Welfare, di comunità e di nuovo pubblico. Esattamente come, fibrillazioni a parte, l’alleanza contrattuale tra Lega e 5Stelle, dove il Carroccio ha portato sensibilità sovraniste (l’identità storica, culturale e religiosa italiana), politiche pro-sicurezza, anti-immigrazione; e i 5Stelle hanno portato sensibilità moralizzatrici, statali e sociali (il reddito di cittadinanza, le nuove infrastrutture).

Chi scrive per primo, in tempi non sospetti, ha individuato nella liquidità dei gilet gialli, elementi di assonanza con i pentastellati italiani: il movimento è nato, si è organizzato e mobilitato, grazie alla rete; non ha capi, solo rappresentanti, non ha struttura, né organizzazione. E’ spontaneo e dinamico. E’ anti-casta, la nuova categoria della politica europea e non solo (si pensi a Trump), e vede in Macron il simbolo dell’Ancien Regime, appunto la casta sia a livello politico (inaccettabile l’auto blu, altro tema grillino, la piscina che si è fatto costruire con i soldi pubblici, artefice poi, di una politica di aumenti a tutto tondo che affamano e preoccupano il popolo), sia a livello istituzionale.
Perché una cosa è certa: l’impianto della Quinta Repubblica, voluta dal generale De Gaulle nel 1958, sta finendo: troppo centralista, troppo lontano dalla società civile e dalle realtà locali. E il sistema elettorale a doppio turno, altra considerazione unanime, non garantisce più la democrazia compiuta, ma solo la mera governabilità, blindando in eterno le forze governative. In Italia un partito come il Fronte nazionale, che ha il 30% dei voti, sarebbe al governo, mentre in Francia ha solo qualche residuale seggio. Logico che la società civile, il paese reale, non si senta rappresentato. Il parlamentarismo più ampio, al contrario, garantisce la fotografia dei cambiamenti e permette ai movimenti nuovi di decomprimere la loro rabbia all’interno delle dinamiche politiche.
E allora, è ovvio, oltre al dna francese che resta rivoluzionario, l’unico modo di farsi ascoltare per i movimenti alternativi è stato in passato, come è oggi, la violenza, come hanno fatto i gilet gialli, e l’unico modo di rispondere da parte dello Stato è stato in passato, come fino a ieri, la repressione. Una risposta perdente, visto che Macron, prima ha “menato”, poi ha ceduto.

E l’attentato di Strasburgo è arrivato, guarda caso, come il cacio sui maccheroni, per depistare l’opinione pubblica e varare nuove leggi per silenziare le proteste col pretesto della sicurezza nazionale e il pericolo del terrorismo. Macron si illudeva di ridimensionare un fenomeno bollato come protesta improduttiva, e che invece, lo si è visto pure la scorsa settimana, continua e sta allargando le sue prospettive programmatiche.

E’ proprio sabato, infatti, che i gilet gialli hanno fatto il salto culturale, varando la loro piattaforma che aspira a rappresentare non più una contestazione, ma tutte le contestazioni della società (la Francia profonda), che non accetta più la Francia elitaria, cittadina, cosmopolita e laicista.
Una Francia liberal e radical, quella delle città, che pensa “alla fine del mondo” (ecologia, pacifismo, globalizzazione, mercati), e una Francia vandeana che pensa “alla fine del mese”.

Questo è il nuovo scontro destinato a durare. E Macron è stato smascherato: era l’ultima resistenza delle caste europee, con un finto movimento antipolitico, in realtà continuista e organico al vecchio potere. Ha tentato di far uscire la Francia dalle categorie del Novecento, per diventare il Monti transalpino, verniciato di modernità e progressismo. E non ci è riuscito.

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