Ramy e l’Italia. A cose fatte, i giornali parlano di “ius soli meritocratico” (naturalmente il giovane che insieme ad altri compagni ha salvato dalla morte 51 studenti, merita questo ed altro); e la sinistra rialza la testa per allargare faziosamente la legislazione allo ius soli “autentico”, quello in base al quale se si nasce da noi si ha per diritto il riconoscimento. Nel nome della logica del “tutti dentro, Italia patria del mondo”.
Salvini, dal canto suo, dopo una prima concessione emotiva alla pancia del paese, come suo solito, aveva raffreddato gli animi e gli ardori collettivi, annunciando un veloce approfondimento della situazione. Doveva valutare la congruità della pratica famigliare, visto che il padre di Ramy era stato al centro di presunte irregolarità.
In soldoni, stava frenando anche per non aprire la porta al gioco dei dem e dei loro soci sinistri. E la stessa famiglia egiziana stava cominciando a gridare alla strumentalizzazione (prestandosi ad un’altra manipolazione). Il tutto, insomma, si sarebbe rovesciato contro. Un bel pasticcio.
Invece, con un colpo di teatro il ministro degli Interni ha incontrato lo studente, e ha cambiato idea, affermando che “Ramy è suo figlio”. Sì alla cittadinanza.
E immediatamente, è partita la campagna mediatica di Di Maio, mirata a riequilibrare la distribuzione dei meriti. E’ noto che il capo grillino non sopporta più “i graffi” di Salvini. Lo ha affermato esplicitamente, chiedendo un nuovo confronto per una nuova sintesi tra Lega e 5Stelle. Altrimenti salta il governo.
Ma i meriti sono i meriti. E la narrazione pentastellata è stata “lo abbiamo convinto noi”.
Salvini urla e poi cede? Niente affatto. Quello che pochi giornali e osservatori hanno evidenziato, è che il leader del Carroccio, ha aggiunto dei concetti non da poco: “Io, da ministro, devo far rispettare la legge, ma Ramy ha dimostrato di aver capito i valori del nostro paese”.
Ecco il punto. La condivisione valoriale come premessa della cittadinanza. Come risultato di una scelta volontaria, di un percorso di conoscenza della lingua, della costituzione, della cultura, fedina penale pulita, e non come un diritto automatico, meccanico, basato sulla sola e mera nascita.
In questo sta l’enorme differenza tra la concezione dell’integrazione sovranista e quella cosmopolita-laicista.