La Lega si slega? Il 2020 segnerà la sua svolta o l’inizio della fine

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La Lega si slega, si slegherà? Il dubbio non è delle Sardine che hanno montato contro Salvini una campagna d’odio, uguale e contraria alla presunta campagna mediatica che la Lega farebbe da anni contro migranti, diversi, delinquenti, alimentando paure, angosce e alterando la percezione degli italiani (e grazie a questo, ottenere il consenso).

Il dubbio riguarda proprio gli stessi leghisti. Il che non vuol dire che il Capitano sia sul punto di essere messo in discussione, ma certamente una riflessione dopo la sconfitta emiliana, deve farla, va fatta. Anzi, secondo precise indiscrezioni, a via Bellerio la stanno facendo e da parecchi giorni. E non si tratta solo dello scontro tra il “partito del Nord”, si pensi ai tre governatori, il vero blocco sociale e finanziario della Lega, e il “partito nazionale-sovranista”, teso ad espandersi sull’intero Stivale.

Il fermo emiliano ha scoperto un piccolo-grande vaso di Pandora. E se a ciò, aggiungiamo il timer istituzionale (le future votazioni che impegneranno i partiti fino a questa estate; la Finanziaria ecc.), il tema è delicato per il Capo-Capitano. Deve muoversi.
Che farà, quale sarà la sua strategia? Continuerà con la comunicazione-citofono o cambierà prospettiva politica e quindi, comunicazione?

Il voto calabrese, al di là degli aspetti clientelari e particolari di una terra che passa da destra a manca con estrema disinvoltura (fino a prima del voto, sembrava zona monopolizzata dai grillini), ha segnato un punto a favore di chi intende porre dei limiti al bipolarismo basato sulla sola personalizzazione “Salvini vs resto del mondo”, basato sullo scontro “sovranisti-globalisti, identitari contro caste economiche, giudiziarie, mediatiche, culturali, europee”.
E a favore di chi intende ripensare e riproporre attualizzato lo schema del centro-destra, modello berlusconiano del 1994. In altre parole, una destra oggi unicamente sovranista, che comincia a guardare al centro, a quel centro di gravità permanente al momento non rappresentato, e che sta tornando di moda.

Oggetto di attenzione da parte del rinvigorito Berlusconi (con la sua idea di Altra Italia), dello stesso Conte, di Calenda e in primis, di Renzi che ha posizionato la sua Italia-viva proprio in tale spazio geografico, per intercettare i segmenti liberali, cristiani, moderati e riformatori orfani.
E come se non bastasse, l’Emilia ha dimostrato che se la provincia profonda (sindrome Brexit), non ha difficoltà a votare Lega, le città metropolitane, invece, da Forza Italia vanno verso il centro-sinistra moderato. E non si fanno attrarre da Salvini.

A questo centro non può guardare Fdi, in posizione subalterna rispetto a lui, in eterno dondolio tra conservatorismo e sovranismo.
Può recuperare Salvini? Forse, a patto che trasformi la sua Lega in una sorta di Dc2.0, un partito-tipo Pdl, che aspira al 40%.
Ma le condizioni dovranno essere due: una classe dirigente che passando Firenze non c’è. E un cambiamento ideologico: dovrà abbandonare toni e slogan radicali, per trasformarsi in partito maggioritario e plurale (come vorrebbe Giorgetti).
Col rischio, però, di non esserne all’altezza e semmai ripetere le fallimentari esperienze dei “partiti-Brancaleone”, con dentro tutto e il contrario di tutto: liberali e liberisti, sociali e statalisti, europeisti e nazionalisti, laici e cattolici. E come noto, senza omogeneità culturale non ci può essere governabilità coerente.
Insomma, un bel rebus.

Anche perché, se il centro-destra non si rifonderà guardando al centro, c’è il timore che non vincerà più.
A meno che non possa nascere un governo centro-destra + responsabili (fuoriusciti grillini), ma l’ipotesi sembra difficile.
Oppure potrebbe correre in soccorso un’implosione giallorossa, magari su temi come l’economia, la giustizia etc.
Un favore che Di Maio, Conte e Zingaretti, non vogliono fare.

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