La fase-1 del nuovo governo Draghi (i primi incontri con le delegazioni dei partiti, le loro dichiarazioni urbi et orbi), è stata caratterizzata da tanti passi “in avanti” dei leader. Ora, in piena fase-2 (la stesura del programma, la definizione delle caselle), registriamo tanti passi “indietro”. Sempre dei leader.
E nel mezzo, assistiamo da giorni a una melensa e stucchevole beatificazione dell’ex governatore della Bce, che induce, insieme a un’enfasi mistica, pure a una preoccupazione non da poco.
Come Monti, anche Draghi potrebbe subire la medesima demonizzazione, quando le eccessive aspettative non saranno soddisfatte.
Questo in fondo, è il destino dei tecnici prestati alla politica e venduti come sacerdoti. Prima o poi, vengono divorati dalla realtà e qui, siamo dentro un’emergenza economica, dettata dalla pandemia, molto più grave rispetto a quella berlusconiana dello spread in caduta libera.
E poi, i partiti che ora sembrano aver ceduto alle indicazioni del capo dello Stato e al prestigio di Draghi, gradualmente e inesorabilmente recupereranno terreno. Trasformando un governo che parte “tecnico-politico”, in governo “politico-tecnico”.
Inoltre, i numeri non sono mai neutri. Anche il provvedimento più ragionieristico e oggettivo, risente di un’impostazione culturale: liberista, socialista, statalista etc. E già ora si nota che le prime idee del neo-premier sono totalmente in linea con le richieste della Ue, ampiamente descritte e previste dal regolamento del Recovery, che impone, pena il blocco dei finanziamenti, perimetri molto specifici: digitalizzazione, green economy, intelligenza artificiale, riforma della pubblica amministrazione, della giustizia e sostenibilità del debito.
Ma il balletto dei passi in avanti e dei passi indietro è espressione non solo di una politica ormai liquida, ma anche di una comunicazione che si adegua alle strategie, senza una minima razionalità e linearità.
La Lega, prima si è posta come paladina del trumpismo e del sovranismo euroscettico, in primis, economico. Dando legittimamente spazio ai Borghi, Bagnai, Rinaldi. Adesso, vota il Recovery, parla di interessi nazionali in Europa, accetta le leggi esistenti a Bruxelles sull’immigrazione, e comincia la marcia di avvicinamento al Ppe. Giorgetti ha vinto.
La giustificazione è sempre religiosa: la ricostruzione, l’emergenza. Ma le operazioni si fanno con profondità. Non con un semplice colpo di spugna.
Il record delle conversioni “a u”, ce l’hanno senza dubbio, grillini e dem.
Grillini: “Mai con la destra”, e poi hanno fatto il governo con Salvini. “Mai col partito di Bibbiano”, e poi hanno fatto un governo con il Pd. E ora che si apprestano a governare con “l’Apostolo delle banche e delle élites”, si affidano alla rediviva piattaforma Rousseau, che in passato ha sempre confermato i cambiamenti a 360 gradi di Di Maio e soci. Per non parlare di Grillo. Guru, accompagnatore, tutore, garante, arbitro, fondatore, santo. Impaurito per l’ennesima giravolta (il popolo grillino non ne può più dei continui tradimenti ideologici), ha rimandato la consultazione on line. Questa volta tira una brutta aria. Vedremo. O si accodano, o si dividono, tra un’ala governista e un’altra all’opposizione, a fare compagnia alla Meloni (che va detto, non ha fatto né passi in avanti, né indietro; è rimasta immobile, ferma).
Il Pd, ogni operazione trasformistica, va ammesso, la fa sempre con verniciata ideologica da vecchia scuola politica: “Mai con i sovranisti”, “governo europeista, laico” etc.
E Conte? Al momento i passi in avanti e indietro li sta facendo a vuoto.
Ha tentato fino all’ultimo di rimanere aggrappato al potere, confidando in un fiasco di Draghi (sperava nella coerenza delle parole di Zingaretti e Di Maio e dei responsabili), poi si è rassegnato, aprendo al nuovo e lavorando su un suo piano B, fatto di tanti passi avanti e indietro: candidato sindaco di Roma, un suo partito personale, presidente dei grillini, candidato alle suppletive di Siena. Ma per il momento, ha preso solo buche.
Nella speranza che a prendere le buche non siano gli italiani.