L’effetto-Draghi si vedrà tra poco. Tra qualche mese, quando toccheremo con mano il valore dei suoi provvedimenti. Per ora abbiamo notizie incerte, altalenanti. Da una parte, ha sicuramente imposto un cambio di passo, a cominciare dalla comunicazione, opposta a quella napoleonica da Grande Fratello di Conte; dall’altra, ha dovuto accettare non pochi compromessi nella faticosa composizione del governo che, sulla carta, doveva essere molto più tecnico. Compromessi tutti mirati a non stravolgere gli equilibri politici dei leader che devono e dovranno appoggiarlo.
Ma un dato è certo, il vero effetto-Draghi, almeno da subito, è la decomposizione e lo sfaldamento irreversibile dei partiti attuali.
Il bipolarismo italico ha conosciuto tante fasi: con Berlusconi, grazie al Mattarellum, dopo “secoli” di centro (centro-sinistra) contro la sinistra, si era avuto il centro-destra contro il centro-sinistra (la famosa democrazia dell’alternanza). Poi, con la cosiddetta terza Repubblica, il bipolarismo è stato essenzialmente “alto-basso”, popolo contro casta (l’ex collante tra Lega e 5Stelle). Adesso? L’esperienza giallorossa sembrava aver riportato le cose a prima: area sovranista contro area riformista.
Draghi invece, ha cambiato di nuovo. C’è il partitone di Palazzo Chigi, un pezzo della destra all’opposizione (Fdi), più pattuglie sparse di sinistra e gruppo misto.
Il centro-destra è diviso: Lega e Fi stanno al governo, nel nome della ricostruzione nazionale; la Meloni è in splendido e ideologico isolamento. La sinistra appoggia compattamente il premier. Stessa cosa per i grillini.
Ma non è oro quello che luccica. Dentro la buccia sono in movimento forze telluriche terrificanti. Che preludono a un mutamento radicale a 360 gradi.
I dem stanno conoscendo la fase più dilaniante della loro storia, già caratterizzata da mille scissioni, mille tagli di sigle e di capi. Un contenitore senza più idee, identità, riferimenti alti. Con un segretario dimissionario, Zingaretti, che si vergogna del suo partito e dei suoi collaboratori, l’unico che ha le idee è e resta, Bettini.
Cosa immagina lo stratega di vecchia data? Approfittando dello stravolgimento interno al Nazareno, vede l’occasione per rifondare il Pd. Consiglio che dà a Zingaretti: rompa il giocattolo, si candidi a vincere al prossimo congresso, rimettendo dentro la Ditta (D’Alema, Bersani), facendo nominare un reggente, appunto di “rottura”, come la Finocchiaro, oppure il più a sinistra, Orlando. Oppure un elemento di mediazione come la Pinotti. E poi, si vedrà.
Medesimo rebus per i grillini, spaccati in due, tra seguaci indomiti di Grillo, che ora devono ingoiare pure Conte, benedetto dal guru, come il Salvatore della patria, e resistenti-ribelli, che hanno trovato una sponda nel giovane Casaleggio, ardimentoso di recuperare l’anima movimentista dei primi tempi, stanco di farsi gestire la piattaforma solo per le mire di Di Maio (appoggiare ogni governo), e inventore del manifesto Controvento. Conte, dal canto suo, ha fatto capire che non intende dividere il comando con nessuno. Sua sarà la responsabilità del progetto ecologista, moderato, liberale, sua sarà la colpa se non decolla.
Ancora al momento pacate e tiepide le reazioni a destra, circa la svolta governista e filo-europeista di Salvini. Siamo ancora a livello di piccole transumanze orizzontali tra Fdi e Carroccio. Da mesi in competizione elettorale interna.
Ma se il primo effetto-Draghi è il terremoto, il secondo, prima dei risultati dei suoi provvedimenti, sarà certamente la definizione di una maggioranza che lo porti direttamente al Quirinale. Così se l’effetto delle sue leggi, del suo Recovery sarà alla Monti, cioè negativo, passerà con stile e compostezza da un colle all’altro.