Francia, la riforma delle pensioni è legge. «Dura, ma necessaria»

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Francia

La contestatissima riforma delle pensioni, voluta da Emmanuel Macron, è passata grazie al ricorso all’articolo 49.3 della Costituzione che consente al governo di porre la questione di fiducia previa autorizzazione del Consiglio dei ministri. Il testo così non dovrà passare al vaglio del parlamento. Per Marcello D’Aponte, professore associato di Diritto del Lavoro nell’Università Federico II di Napoli, già docente negli atenei francesi di “Nanterre-La Defense” di Parigi e “Jules Verne” di Amiens, si tratta di un’evidente forzatura del governo che però può subire una mozione di censura delle opposizioni. «Il rischio è che se la censura aggregherà una maggioranza parlamentare il governo di Elisabeth Borne dovrà dimettersi e Macron dovrà formare un nuovo governo. E’ una procedura che evidenzia la debolezza politica del governo, ma nello stesso tempo è una sfida che Macron ha voluto per dimostrare la necessità di adottare un provvedimento che ritiene essenziale per la tenuta economica del Paese».

Intanto la Francia ha risposto allo strappo di Macron con milioni di lavoratori che hanno riempito le piazze dell’Esagono, dopo aver bloccato per settimane i servizi prioritari. Accusato di essersi mangiato le promesse elettorali, il presidente considera ineluttabile l’innalzamento dell’età pensionale da 62 a 64 anni. E’ davvero così oneroso e squilibrato il sistema previdenziale francese, professor D’Aponte?

«Direi di sì. Lo spostamento dell’età pensionabile a 64 anni è in linea con quello che avviene nei principali Paesi della Ue. Anzi una volta passata riforma, la soglia dei 64 anni resterebbe comunque al di sotto delle media comunitaria. Bisogna considerare la continua crescita della speranza di vita e quindi l’ormai acclarata insostenibilità del sistema previdenziale. Quindi la riforma tiene conto sia dei sistemi pensionistici dei partner europei sia della tenuta economica del Paese».

I conti non tengono più: è caduto il mito dello stato sociale francese? 

«In Francia l’attenzione ai problemi sociali è stata sempre un elemento caratterizzante dell’azione di governo. Ecco perché oggi c’è l’urgenza di rivedere i costi previdenziali. Per rispondere alla sua domanda, non direi che lo stato francese abbia perso il suo slancio verso i problemi sociali, perché è ancora all’avanguardia sulle esigenze delle categorie più fragili, ma è chiaro che la competitività richiesta dai mercati europei rende obbligatorio l’adeguamento del sistema pensionistico. Ma ripeto, anche il passaggio dell’età pensionabile a 64 anni continuerebbe a rappresentare un unicum a livello europeo perché in Francia storicamente è consuetudine andare in quiescenza abbastanza presto».

La piazza. In Italia si dice che quando i francesi scioperano lo fanno sul serio. I sindacati e le altre parti sociali riusciranno a ottenere qualcosa dal governo? 

«In Francia non ci sono regole così stringenti come in Italia sullo sciopero dei servizi pubblici essenziali. Si dice che oltralpe si sciopera sul serio perché vi è molta più libertà e più spirito di partecipazione. E’ chiaro che nonostante lo strappo, Macron dovrà comunque ascoltare le piazze sconvolte dai disordini di queste ore e conseguentemente implementare meccanismi di compensazione che consentano alle famiglie di avere determinati benefici in ragione dei sacrifici richiesti».

Macron non potrà ricandidarsi però sta legando il destino del suo secondo mandato a questa riforma. E’ un atto politico vero e proprio o è solo per lasciare la sua impronta alle future generazioni?

«Per Macron i temi economici sono uno degli aspetti essenziali del suo mandato, tuttavia non si tratta solo di una riforma di tipo finanziario, è necessario, come detto, allineare il sistema previdenziale francese a quello degli altri paesi europei più importanti. Va da sé che il presidente vorrà anche essere ricordato come colui che ha riequilibrato i conti pubblici e riformato il sistema delle pensioni. Non dimentichiamo che la Francia ha uno dei debiti pubblici più elevati d’Europa. Se da un lato la spesa si giustifica con l’erogazione di una serie di prestazioni sociali di livello medio alto, dall’altro rappresenta una zavorra ormai pesantissima sui conti dello stato».

In futuro Macron ricoprirà un ruolo internazionale o si dedicherà al consolidamento del partito che, a quanto pare, non gode di ottima salute?

«Ritengo che Macron sia uno dei leader europei più brillanti, con un’ampia capacità di veduta delle trasformazioni del quadro politico europeo. Inoltre è giovane è ha un curriculum prestigioso. Mi auguro che possa ricoprire un ruolo significativo a livello continentale. Naturalmente bisognerà pensare a dei contrappesi vista la presenta della francese Christine Lagarde a capo della Banca centrale europea. Il suo partito invece è un rebus perché è un soggetto giovane e non sufficientemente strutturato per sopravvivere al post Macron. Ci sono figure autorevoli che possono guidare “En marche” nelle prossime sfide politiche come Bruno Le Maire, ma certo la figura carismatica di Macron sarà difficile da sostituire».

Considerata l’attuale freddezza dei rapporti tra Francia e Italia il “Trattato del Quirinale” decollerà?

«E’ interesse della Francia e dell’Italia ricostruire una rete di rapporti solida ed efficace. La tradizione delle relazioni tra questi due paesi è tale da non consentirne un peggioramento. E’ un momento storico, poi l’Eliseo e Palazzo Chigi torneranno a dialogare, com’è giusto che sia, essendo due storici capisaldi dell’archittettura europea».

 

 

 

 

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