Tassa su grandi aziende, Rinaldi: “Governo abbia coraggio, meglio sforare l’1,6%”

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Servono almeno 15miliardi di euro per realizzare i provvedimenti cari a Lega ed M5S e il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha già fatto sapere che il deficit non potrà andare oltre l’1,6% del Pil. Premesso che nessuno intende mettere le mani nelle tasche dei cittadini con un aumento delle imposte, ecco quindi l’idea di una tassa straordinaria per le grandi aziende, le banche o servizi di rete. La proposta resa nota dal Corriere della Sera però secondo molti potrebbe mettere in crisi le aziende, con tutte le conseguenze nefaste che ne deriverebbero in termini di perdita dei posti di lavoro. Lo Speciale ne ha parlato con l’economista Antonio Maria Rinaldi, animatore del sito Scenari Economici.

In questo momento quanto aiuterebbe, e quanto sarebbe invece sbagliata, una tassa su grandi aziende, banche o servizi di rete?

“Al netto di quanto riportato dal Corriere della Sera, si tratta di ipotesi chiuse nei cassetti del Ministero dell’Economia, dove ci sono almeno diecimila proposte di questo genere formulate negli anni, come idee utili per intervenire a sostegno del sistema fiscale. Non poteva quindi mancare in questo momento, ma poi non è detto che il governo la metta realmente in atto. Fra il dire e il fare ci passa di mezzo il mare”. 

Ma poniamo il caso che si decida di adottarla concretamente. Sarebbe una misura positiva o negativa per l’economia?

“Certamente nel momento in cui si sta cercando di attrarre in Italia capitali ed investitori esteri, penalizzare le banche, che di problemi mi pare ne abbiano già a sufficienza, e le grandi aziende già oberate da una tassazione che è posta ai vertici del sistema europeo, non credo sia una strategia vincente. Si parla tanto di diminuire il cuneo fiscale, ma se poi si va ad introdurre un altro tipo di tassazione andando di fatto a prelevare i soldi dall’altra tasca, temo che ci ritroveremo da capo a dodici. Sarei molto cauto”.

La proposta sarebbe venuta fuori dopo che il ministro Tria ha posto il paletto dell’1,6% per ciò che riguarda il rapporto deficit-pil. E’ giusto?

“Se per non sforare il deficit andiamo a tassare banche e aziende, allora non ci sono dubbi, ben venga un più forte e deciso sforamento del deficit. Altrimenti ritorniamo in quel circolo vizioso che ci ha ridotti come siamo adesso. Per non sforare il deficit, non si può pensare di penalizzare il sistema produttivo italiano. Questo è ciò che è stato fatto fino ad oggi ed è quindi doveroso non ripetere gli stessi errori del passato”.

Quindi non ci sono alternative alla sforamento del deficit?

“Il paletto dell’1,6% proposto da Tria, non permetterebbe di risolvere nemmeno in minima parte ciò che questo governo intende conseguire. Anche perché, il primo gennaio 2019, vanno disinnescate le clausole di salvaguardia che farebbero aumentare l’Iva e che gravano sulla manovra per 12,4 miliardi. Se non si troverà questa cifra scatteranno automaticamente le aliquote dell’Iva per recuperare quel tipo di gettito. Questi 12,4 miliardi rappresentano in manovra circa lo 0,7%, quindi il fatto di poter sforare soltanto dell’1,6%, significherebbe avere a disposizione appena uno 0,9%, del tutto insufficiente per poter attivare il contratto di governo. Servirebbe almeno il 2,3, 2,4%”.

Però se non si vogliono mettere le mani in tasca ai cittadini, non ci sono molte strade. Tassare le aziende potrebbe diventare una scelta obbligata?

“Se il presupposto iniziale è di non sforare l’1,6% è chiaro che si pone questo problema. Credo che sforare del 2,3% sia a questo punto la soluzione più utile e conveniente per tutti. Rientreremmo comunque nel parametro europeo del 3%, che la Francia tanto per cambiare si prepara a sfondare, e potremmo attivare quelle politiche espansive di cui il Paese ha urgente bisogno. Non servono più politiche pro cicliche, ma nettamente anti-cicliche altrimenti l’economia non si metterà più in moto. Fermo restando che poi il Def sarà licenziato definitivamente dopo la verifica parlamentare dove sarà probabilmente emendato nella sua configurazione di partenza. Anzi, in genere dell’impostazione iniziale, alla fine del tragitto parlamentare, rimane ben poco”.

 

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