Francia. Macron-gilet gialli: chi ha vinto e chi ha perso

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Di solito quando ci si toglie il gilet si resta in camicia. E i gilet gialli si stanno lentamente spogliando. Vediamo come, e lo facciamo avvalendoci di due foto. Di cronaca.
Sabato scorso. Altre due vittime per le manifestazioni in Francia; sono saliti così a otto i morti dall’inizio delle proteste. E nuovi scontri a Parigi. Una donna è rimasta uccisa sabato mattina in un incidente sulla nazionale 2, a nord-est di Parigi, secondo quanto riferito dalla radio France Bleu Picardie. Secondo la ricostruzione, la vittima era in moto con il compagno. Quando sono rimasti coinvolti in un blocco stradale dei gilet gialli, l’uomo ha fatto inversione di marcia ma sull’altra corsia arrivava una vettura che li ha travolti. La donna, 44 anni, è morta sul colpo. L’altro incidente mortale è accaduto, secondo la prefettura della regione Nord, alla frontiera con il Belgio, in località Erquelinnes. Lo scontro è avvenuto sempre ad un rallentamento provocato da gilet gialli che bloccavano la strada.

Seconda foto. Vestite da Marianna, simbolo della Repubblica francese, alcune ragazze – immobili e a seno nudo nonostante il gelo – sono rimaste una buona mezz’ora oggi, impassibili, davanti agli scudi della polizia che bloccava i gilet gialli nel mezzo degli Champs-Elysees. Anche se qualcuno ha inizialmente pensato potesse trattarsi delle Femen, celebri per le loro dimostrazioni di protesta, i media francesi hanno spiegato che si trattava di una performance artistica della franco-lussemburghese Deborah de Robertis, nota per essersi spogliata in diversi musei francesi.
Ma al di là della cronaca e delle performance tv, tipiche di ogni spettacolarizzazione, la domanda vera è: i gilet gialli stanno esaurendo la loro spinta propulsiva?

Da una parte, non si sono dati una struttura degna di nota, divisi tra l’ala morbida e quella dura; sono e restano un movimento liquido. Quindi, si sono dati la zappa sui piedi. Dall’altra, la strategia di Macron (di cedere per salvare la faccia, e poi bloccarli, col richiamo all’unità repubblicana anti-terrorismo, dopo i fatti di Strasburgo), sembra prevalere. Un risultato, infatti, l’ha ottenuto: ridurre sensibilmente le presenze in piazza.
Anche perché, l’obiettivo è stato da sempre e continua ad essere, quello di fornire un’immagine eversiva e disperata della protesta per poi, con una legge ad hoc, criminalizzarla e fermarla una volta per tutte.

L’altro aspetto è che indubbiamente c’è un affievolimento numerico della mobilitazione. E sabato si è visto chiaramente. Secondo gli osservatori, a Parigi c’erano poche migliaia di persone.
Ma resta il dato di un consenso che ha percentuali bulgare nella Francia profonda. Non la Francia degli anti-moderni, dei nostalgici dell’assistenzialismo e dei sussidi di Stato, incapaci di adeguarsi al mercato. Ma di quelli che “non arrivano alla fine del mese”, contrapposta a quelli che pensano nelle città, con la metropolitana sotto casa, unicamente in modo ideologico e molto comodo, alla “fine del mondo”. Una rivolta sociale e identitaria a 360 gradi (la battaglia contro gli aumenti del carburante è stata solo una scintilla).
E in tal senso i gilet gialli hanno vinto e hanno perso al tempo stesso.

L’unica cosa che può evitare, anche per il futuro, lo scontro frontale tra società e istituzioni, lo abbiamo detto più volte, è il cambiamento del sistema elettorale: il doppio turno blinda le caste, il proporzionale darebbe spazio alle forze minoritarie e alternative di essere rappresentate. In Italia, un partito come il Fronte nazionale, con una percentuale del 30% dei voti andrebbe al governo (la Lega il 4 marzo ha ottenuto il 17%), in Francia non ha che un paio di seggi.

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