Sondaggi, Fdi primo partito. Ma la Meloni rischia la sindrome del ghetto

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Secondo gli ultimi sondaggi realizzati da Swg per La7 nei primi giorni di febbraio il partito in pole position è Fdi.

In caso di elezioni anticipate l’unico partito di opposizione al governo Draghi, otterrebbe il 21,4% dei voti. Al secondo posto il Pd (21,1%), seguìto dalla Lega, ferma al 17%. E poi, i 5 Stelle al 12,8%. Infine Fi all’8%.
Cosa vuol dire tutto ciò, a parte la superficialità e liquidità di rilevazioni che oltre a condizionare i partiti per una sola giornata, sono espressione della pancia degli italiani? Una mera indicazione che spesso viene smentita dalle urne. Diciamo, una tendenza che comunque merita una riflessione.

Innanzitutto il quadro generale minato dalla emergenza pandemica ed economica. Non a caso il consenso va a due partiti bandiera di posture diametralmente opposte.
Fdi ha tentato e tenta di incarnare quell’Italia che non accetta l’ammucchiata draghiana, il perenne stato emergenziale, l’obbligatorietà dei vaccini, la gestione filo-Ue del premier, le sue scelte economiche, nel nome e nel segno della sovranità nazionale, dei non garantiti e della libertà, minacciata da un incombente regime a metà tra Orwell e la Cina.
Ma il Pd è invece, tutto il contrario: è il partito dello status quo, dei cittadini totalmente e fideisticamente allineati con la strategia vaccinista, con le scelte di Super-Mario, con lo Stato etico-sanitario, col pensiero unico dominante. Si tratta dei tutelati, dei fan del modello economico liberista (altro che progressisti, altro che sfruttati, che classe operaia).

Come dire, il vero, grottesco bipolarismo italico: “ortodossi vs ribelli”. Per il resto, i dati relativi ai grillini e a Forza Italia sono scontati: i 5Stelle sono in caduta libera da tanto, dato il tradimento che hanno attuato nei confronti di ogni loro battaglia identitaria, che li ha portati ad essere, alle ultime politiche, il primo partito italiano. Gli azzurri, dal canto loro, sono in crisi (con il tramonto fisico e politico del loro Capo) da almeno un decennio: in bilico tra centrismo e destra. Al punto che sembrano (in quanto laicisti, garantisti, europeisti, liberisti) più in linea con Letta e addirittura con Conte, che col Capitano.

Continua, infatti, il calo di Salvini, incapace di uscire da una strategia di lotta e di governo che sta drenando i suoi consensi (ottenuti quando era ministro degli Interni, e quindi, in grado di decidere) in favore di Fdi.
Ma la Meloni non deve cantare vittoria. Sa benissimo che viene considerata e valorizzata dal mainstream unicamente in funzione di qualche altra cosa. Quando quell’altra cosa sarà colpita e uccisa (in questo caso, la definitiva fine di Salvini), spunterà sempre il fantasma fascista a demolirla (esattamente come è accaduto durante le recenti amministrative).
Il successo di Fdi, al momento, è dovuto allo spostamento dei consensi leghisti che hanno lasciato il Carroccio preferendo lidi sovranisti (anzi, conservatori) più rassicuranti, più credibili e coerenti.

E come in passato è successo alla destra di opposizione (dal Msi ad An), il massimo di consenso non coincide col protagonismo politico. Siccome siamo in una Repubblica parlamentare, la governabilità, in assenza di maggioranza assoluta, è frutto della mediazione dentro una coalizione. E qui torna il tema della sintesi tra anime le più disparate: sociali, liberali, statalisti, liberisti, euroscettici, filo-europeisti, cattolici, laici etc.
La Meloni potrà garantire una governabilità al suo 20% di elettorato solo se prende il potere da sola o se condiziona realmente lo schieramento di centro-destra. Pura utopia.

In assenza di tale possibilità avrà due strade: o restare a una mitologica quanto impolitica opposizione, o diluirsi nel pragmatismo che tutti conosciamo e che conduce inesorabilmente alla svendita o ad annacquare la propria identità.
Ma crediamo che a conti fatti, a Fdi convenga tale rendita di posizione, una riserva aurea che condanna e condannerà milioni di italiani a una bolla ideale, pura, ma sterile.
Quella “mistica del ghetto” in cui fu relegato il Msi e che rischia di ingessare oggi Fdi. Un recinto in cui è comodo stare (anche per ragioni fisiologiche di partito), ma improduttivo ai fini del cambiamento di una società e delle istituzioni (altro che Repubblica presidenziale).

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