La Meloni (prima firmataria) si arrabbia e ancora una volta dice ai suoi alleati che “c’è un problema”. Cos’è accaduto?
Il presidenzialismo da mercoledì è lettera morta. Il testo è stato bocciato in Commissione Affari Costituzionali, non solo per l’opposizione del centro-sinistra, ma anche e soprattutto per le assenze degli alleati: un membro della Lega (Cristian Invernizzi) e uno di Fi (Annagrazia Calabria).
Data la ripartizione partitica della Commissione, poteva finire con un bel pareggio; invece, il risultato finale è stato 21 a 19.
Morale, cade nel cestino un modello di Stato e di società alternativo alla Repubblica parlamentare. Che specialmente in occasione della scelta del presidente, come si è visto a proposito della riconferma di Sergio Mattarella, ma anche in precedenza (con Giorgio Napolitano), ha dato una pessima immagine di sé, al punto da rivalutare (frase del costituzionalista Sabino Cassese) la monarchia: nomination demagogiche, nomi bruciati, compravendita di candidati, lotterie mediatiche e tante frasi retoriche.
Tra queste affermazioni retoriche un concetto in quei giorni, diventato un mantra: il capo dello Stato deve essere un uomo di alto profilo, capace di rappresentare il prestigio, l’unità della nazione e la stabilità delle istituzioni. E perché no, essere magari scelto direttamente dal popolo.
E la Meloni ci ha creduto. Pensava realmente che tale opzione potesse essere una via da percorrere. E che l’Italia potesse assomigliare un po’ alla Francia gollista o agli Usa.
Ma tant’è. Nulla di fatto. Con due considerazioni. La prima, il comportamento ideologico della sinistra da sempre pregiudizialmente ostile alla riforma. Non c’è nulla da fare, Pd, Leu e pure i grillini, non gradiscono l’eventualità di un vertice espressione della pancia dei cittadini. Eppure, a correnti alterne, questi partiti avrebbero potuto beneficiarne. Al tempo di Mani Pulite, sicuramente Di Pietro sarebbe salito al Colle. Oppure, in piena emergenza-Covid, Conte avrebbe avuto un plebiscito. Discorso diverso per il Pd. Culturalmente odia qualsiasi autorevolezza dello Stato: come farebbe ad evocare lo spettro del fascismo ogni qualvolta la destra avanza nella fiducia popolare?
Ma la superficialità del centro-destra la dice lunga sullo stato di salute della coalizione. Divisa da mesi, non riesce a trovare il bandolo della matassa. Spaccata tra destra di governo e destra di opposizione, ha perso ogni battaglia comune: immigrazione, sicurezza, green pass, economia, riforma del catasto, caro benzina. E sulla guerra sta facendo di tutto (in modo patetico), per far dimenticare le simpatie putiniane. Come faranno (specialmente Salvini e la Meloni) a tornare insieme, in vista delle incombenti elezioni? Col solito abbraccio ad uso e consumo dei giornalisti? Lega, Fi e Fdi hanno provato a rifondare l’alleanza parlando di nuova fase costituente. E alla Meloni è venuto in mente il presidenzialismo.
Peccato per lei, visto che è un’idea italiana, non solo di destra. In passato l’hanno proposta l’azionista Calamandrei, il repubblicano Pacciardi, il gruppo dc di Segni, lo stesso Craxi e Almirante.