Mes, la questione si va facendo complicata per Giorgia Meloni. Diventa sempre più arduo tenere il punto di principio (identitario) della mancata ratifica da parte italiana del nuovo “Fondo salva Stati”. La premier non ha più nessuno (a parte il M5S, ma non è una gran compagnia) che le faccia da valida spalla nel condurre la sua strenua opposizione. E rischia di rimanere con il classico cerino in mano.
Finora la Meloni ha mantenuto sul tema un atteggiamento dilatorio. La sua ultima linea del Piave era questa: «Non ha senso ratificare la riforma del Mes quando non sai neanche le nuove norme sul Patto di stabilità». Ma in questi ultimi giorni sono accaduti due fatti che impongono un’accelerazione al processo di ratifica.
Primo fatto: mercoledì arriva in Commissioni Esteri della Camera il parere tecnico del ministero dell’Economia che promuove il Mes. «Dalla ratifica del suddetto accordo – si legge nel testo- non discendono nuovi o maggiori oneri» per il bilancio pubblico italiano. Non solo, ma il Mef vede anche, dall’attivazione del trattato, «un probabile miglioramento delle condizioni di finanziamento sui mercati». Il parere è firmato dal capo di gabinetto del ministro, Stefano Varone, ma è direttamente riferibile a Giancarlo Giorgetti. E scoppia il caso politico: da due giorni non si parla d’altro che della divergenza sul Mes tra la Meloni e il suo ministro dell’Economia.
Secondo fatto: giovedì la stessa Commissione Esteri della Camera approva il ddl di ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Per la maggioranza è un doppio smacco. Primo perché i rappresentanti del centrodestra non si erano presentati alla votazione, con l’obiettivo di guadagnare altro tempo, e invece sono stati presi di sorpresa dall’opposizione (voto a favore di Pd e Azione/Iv, con il M5S astenuto). Secondo perché il voto favorevole al ddl sul Mes vede un inedito asse tra Partito democratico e Terzo Polo, circostanza che consente alla Schlein di respirare un po’, dopo i feroci attacchi che ha subito per l’avvicinamento al M5S e per la deriva radicale che sta subendo il suo partito. Il testo del disegno di legge andrà ora in Commissione Bilancio, per poi tornare agli Esteri e subito dopo approdare all’Aula (la data prevista è il 30 giugno). La maggioranza potrebbe a questo punto rinviare tutto alla Conferenza dei capigruppo e far slittare il voto, magari a settembre.
Vediamo se la Meloni deciderà di sfruttare questa piccola possibilità di ulteriore dilazione (per far decantare la situazione), oppure se invece non le converrà prendere il toro per le corna e uscire subito, in un modo o nell’altro, dalla scomoda situazione in cui attualmente si trova.
Pare comunque difficile immaginare che la premier si metterà ancora di traverso al Mes. Alla luce dell’evoluzione in corso, le viene a mancare l’appoggio di Giorgetti e non ha più in definitiva neanche l’appoggio di Salvini. Il leader della Lega si è disimpegnato affermando che «deciderà il parlamento». Come a dire: «Cara Giorgia, adesso pensaci tu».
Ma perché la Meloni ce l’ha tanto col Mes? Sarebbe ingiusto considerare, la sua, come posizione meramente ideologica. In primo luogo la premier ritiene che sia dannoso tenere congelati fondi rilevanti (700 miliardi, di cui solo una minima parte utilizzati) che magari non verranno mai impiegati. In secondo luogo, ci potrebbe essere il rischio (ancorché remoto) di devastanti manovre speculative contro l’Italia, cosa che potrebbe costringere il nostro Paese a far ricorso al Fondo, con il conseguente commissariamento delle nostre istituzioni rappresentative da parte della famosa Trojka (commissione Ue, Bce, Fmi).
Si tratta di un timore che ha certo le sue ragioni, ma contro il quale si oppongono argomenti non trascurabili. Innanzi tutto il fatto che la riforma del Mes potrebbe tranquillizzare ulteriormente i mercati finanziari proprio perché doterebbe gli Stati di Eurolandia di un nuovo e più efficiente paracadute. E poi c’è che l’Italia è l’unico Paese su 20 a non aver ancora ratificato il trattato, circostanza che impedisce al Mes di entrare in funzione (e possiamo ben immaginare le pressioni europee sul governo). E infine c’è un’opportunità da non trascurare: l’accettazione italiana del Mes permetterebbe alla Meloni di avere più argomenti per una modifica del Patto di stabilità (la vera battaglia per il futuro italiano) in senso più favorevole agli Stati più indebitati come il nostro. Ed è questa, probabilmente, la ragione che può aver spinto Giorgetti al “blitz” di mercoledì in Commissione Esteri.
Certo è il fatto che la Meloni è attesa a scelte delicate e cruciali. Se decide di andare avanti nel no al Mes rischia di andare a sbattere. Se invece sceglie la strada del via libera al nuovo fondo salva-Stati si espone a violente critiche di incoerenza. Uno/a statista (o aspirante tale) deve però sapere sempre come comportarsi. E capire che è meglio, talvolta, rischiare di perdere la faccia che rischiare di perdere il governo. E con esso di creare seri problemi alla tanto amata Patria.