Al di là dei tocchi e ritocchi del Quirinale e dei tecnici dei tanti, troppi, ministeri coinvolti, il decreto (profughi e sicurezza) di Salvini, ha il merito di introdurre concetti nuovi nella politica italiana (condivisi dalla gente), e il demerito di creare squilibri normativi non da poco.
Il gioco a rialzo che i due giovani vice-premier Salvini e Di Maio, dosando strette, correzioni e dichiarazioni forti, quasi a rompere l’alleanza di governo (su temi come la chiusura dei porti, la Ue, il ponte-Morandi, la Tav, la flat tax, il reddito di cittadinanza), stanno orchestrando sapientemente, potrebbe franare dietro spinte e bocciature costituzionali.
Il tutto è legato ai nodi da sciogliere del decreto.
Il primo punto, estremamente delicato, da risolvere è, ad esempio, quello della “revoca della cittadinanza” concessa agli stranieri, quando si rendono colpevoli di reati gravi. Nell’ordinamento attuale tale revoca non è prevista, perché lascia spazio a possibili disparità di trattamento tra cittadini di serie a e di serie b.
E qui torna in auge un concetto usato a suo tempo, dai detrattori dello ius soli: la cittadinanza non può essere automatica, né legata alla mera nascita, né al mero ingresso (o al semplice fatto di rispettare le leggi o trovare lavoro in Italia), ma un percorso graduale di accettazione della lingua, cultura, della Costituzione, dei nostri valori fondanti. Un cammino anche a ritroso, in caso di illegalità (questo è stato il dibattito sulla cittadinanza a punti). Una volta concessa la cittadinanza, hanno ragione i costituzionalisti di Mattarella, non può essere revocata. Che accadrebbe agli italiani che delinquono?
Infatti, lo stesso Salvini sembra aver ripiegato: verrà revocata in caso di motivi legati alla sicurezza nazionale, a chi compie atti di terrorismo e partecipa ad associazioni terroristiche.
Il secondo nodo è “la sospensione della domanda d’asilo con espulsione preventiva se l’immigrato commette reati tipo, violenza sessuale, furto, lesioni gravi, violenza, mutilazione di organi genitali e resistenza a pubblico ufficiale”. La controversia è e sarà, sull’espulsione preventiva: basta la denuncia o, come da regola di uno Stato di diritto, che prevede la presunzione di innocenza, ci vuole la condanna?
Ultimo punto, “la protezione umanitaria”, come condizione per ottenere il permesso di soggiorno; norma che il decreto Salvini eliminerebbe, oggetto tra l’altro, di frizioni con i grillini, storicamente favorevoli. Protezione che verrebbe sostituita da “permessi per gravi motivi sanitari, sfruttamento lavorativo, calamità naturali”.
Un bel rebus. Che vede contrapporsi le promesse elettorali, il populismo di Salvini, al rigorismo costituzionale del Quirinale.
L’errore è quando il populismo per esigenze di immagine e “annuncite acuta”, fa riforme superficiali, e quando il rigorismo diventa la bandiera di un’opposizione preconcetta e ideologica dall’alto. Surrogando quell’opposizione politica che al momento, langue.